venerdì 24 settembre 2010

Siemens: un accordo si aggira per l’Europa

di Dino Greco

Ieri abbiamo dato grande e giustificato rilievo all’accordo stipulato dal sindacato tedesco, l’Ig Metal, con uno dei maggiori gruppi industriali al mondo, la Siemens AG, azienda che opera principalmente nei settori dell’automazione industriale, del trasporto ferroviario, dell’illuminazione, dell’energia, dell’informatica e dell’elettronica medicale. Un gruppo che vanta stabilimenti in 190 paesi del mondo, per oltre 400mila dipendenti e con un fatturato di quasi 80 miliardi di euro. L’accordo - come abbiamo spiegato sul giornale di ieri - prevede l’impossibilità di ricorrere a licenziamenti per riduzione di personale, in presenza di situazioni di crisi, senza che il sindacato conceda il suo nulla osta. Ecco dunque il primo punto di capitale importanza: la sovranità sull’occupazione, in Siemens, diventa materia condivisa, non più soggetta ad atti unilaterali dell’azienda, come quelli che nel 2008 la portarono a licenziare di botto 17mila lavoratori, più di 5mila in Germania.

Secondo punto: l’accordo è sì valido - ma non poteva essere altrimenti - per la sola Germania, ma è esteso anche alle “consociate”, sicché i lavoratori che ne beneficeranno toccheranno il ragguardevole numero di 160mila. E’ l’intero arcipelago del gruppo ad essere coinvolto. Le aziende controllate saranno tutte vincolate alla medesima normativa in materia di salvaguardia occupazionale. Ma cosa accadrà qualora una flessione produttiva, una crisi di mercato dovesse nuovamente generare eccedenze occupazionali, considerato che dopo i primi tre anni di sperimentazione, l’accordo non sarà più revocabile e varrà a tempo indeterminato, divenendo una sorta di cardine istituzionale delle relazioni industriali in quell’azienda?
Questo è il terzo punto di rilevanza strategica. Perchè l’intesa è molto chiara: si ricorrerà a soluzioni alternative alla risoluzione dei rapporti di lavoro, come la mobilità all’interno del gruppo e come la riduzione degli orari. Sì, proprio quell’intervento sul tempo di lavoro che padroni e governi nostrani hanno sempre osteggiato e tuttora considerano una sciagura, preferendo che il mondo del lavoro si divida fra un esercito di disoccupati involontari (scarsamente o per nulla assistiti) ed un’altra parte, ricattabile, impegnata per 60 ore settimanali.
L’accordo contempla poi un quarto impegno formale di Siemens, conseguenza diretta dei precedenti. Quello di non delocalizzare le produzioni all’estero: gli investimenti e gli insediamenti allocati dalla Siemens in terra straniera saranno dunque complementari e non sostitutivi rispetto a quelli operativi in Germania.
La società bavarese non è la sola impresa tedesca ad aver intrapreso questa strada, se anche la Daimler, azienda di automobili e mezzi di trasporto civili e militari, ha revocato l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Sindelfingen, impegnandosi a mantenere in forza, fino al 2020, i 37mila lavoratori che vi sono occupati.
Tutto ciò merita da parte nostra la dovuta attenzione. E altrettanta dovrebbe suscitarne negli ambienti sindacali e politici del nostro Paese. Perché demolisce luoghi comuni che hanno qui da noi grande <+Cors>audience<+TondoB>. A partire dalla madre di tutte le sciocchezze, quella secondo cui i differenziali dei costi di produzione, e specialmente di quello del lavoro, giustificano ogni sorta di sopruso antisindacale entro i confini nazionali e la dismissione degli impianti, da traslocare appena possibile in siti dove il rischio di impresa è pari a zero e il profitto certo.
Oltralpe, sia ben chiaro, non ci sono imprenditori filantropi. Semplicemente si è capito che proprio la crisi finanziaria ha dimostrato quanto siano importanti l’economia reale, l’industria nazionale e, in essa, il sistema manufatturiero. Non solo, ma che è possibile mantenerlo anche nel paese che retribuisce il lavoro operaio come nessuno al mondo (da 3 a 5mila euro mensili), dove i salari reali sono cresciuti nel secondo semestre e su base annua del 2,3%, dove decollano nei lander le lotte per i rinnovi dei contratti di settore e dove - malgrado i tagli di questi anni - il welfare, nonché gli investimenti sulla ricerca e sull’intero sistema formativo si mantengono a livelli ragguardevoli.
Ora, non si tratta di magnificare acriticamente il modello cogestionale tedesco, che ha le sue ombre, e che sarebbe difficilmente assimilabile dall’esperienza della più avanzata cultura autonomistica, purtroppo in gran parte tramontata, del sindacalismo italiano.
Quello che qui interessa è mostrare l’abissale distanza che passa fra una cultura improntata ad una solida idea di coesione sociale e lo sgangherato dibattito nostrano, alimentato da mestieranti della politica e da millantatori che popolano la mediocrissima giungla del capitalismo straccione, dominato da ingordi speculatori, privo di ambizioni strategiche e orbo di uno sguardo sul futuro.
Per questo, potete scommeterci, l’accordo Siemens sarà qui da noi totalmente rimosso. A partire dalla stampa nazionale - tutta - che ne porta debolissima traccia. Perché noi dobbiamo continuare così, con i ricatti di Marchionne e dei suoi emuli, con le delocalizzazioni che non trovano ostacolo alcuno in un governo corrivo, che da imprenditore ha già distrutto Alitalia e altrettanto sta facendo con Fincantieri e con Tirrenia.
L’affermazione - propagandistica finché si voglia - del presidente della Siemens, Peter Löscher, il quale afferma: «per noi ogni singolo lavoratore è molto importante» sarebbe considerata qui in Italia un’aporia blasfema.

Voto di scambio, quel reato è da cambiare

di Giovanni Russo Spena

Il voto parlamentare su Nicola Cosentino ha scritto una pessima pagina per le istituzioni ma anche per l’etica pubblica. Il governo si fa più “casalese”. E, in nome di un presunto garantismo che in questo caso non c’entra nulla (ma che si chiama impunità e arroganza del potere, coperto dal voto segreto, richiesto non a caso dalla maggioranza), un pugno di parlamentari vota con la maggioranza stessa. L’uso distorto del voto segreto è evidente: da strumento di garanzia per le minoranze esso diventa luogo di scambio e di mercimonio per salvataggi corporativi di un potere distante, oscuro, torbido, indicibile.
Berlusconi si è impegnato molto in questo salvataggio: la sorte giudiziaria di Cosentino gli sta a cuore perché Cosentino è un pezzo del «sistema», come lo chiama Saviano. Berlusconi ha pagato prezzi politici: non raggiunge la maggioranza assoluta nonostante la furiosa e dispendiosa campagna acquisti che giunge sino alla promessa di un indecente rimpasto di governo; finisce nelle mani degli amici di Totò Cuffaro e rafforza politicamente i finiani ma, soprattutto, Berlusconi è disperatamente aggrappato a Bossi, è nella trappola della scalata al potere anche finanziario, alla Cassa Unicredit, da parte della Lega “ladrona”, che accetta di salvare i “ladroni di Roma” ed i parlamentari accusati di connivenza con le mafie in cambio del federalismo secessionista delle zone ricche del Paese.

Nella sua decadenza, che diventa putrescenza, Berlusconi scioglie a destra l’ambiguità e la doppiezza di un populismo che voleva, all’origine, mascherare con pulsioni peroniste. Ora batte un’unica strada, che gli viene affidata dai settori economici di cui il suo governo è “comitato di affari”: massacratore dello stato sociale, dei beni comuni, della scuola pubblica, della condizione lavorativa, della precarietà, diventata vera e propria mutazione antropologica; e inoltre organizzatore del razzismo di stato contro i migranti con accenti nazisti per le deportazioni dei rom.
Anche gli arresti di assessori e di importanti dirigenti politici, nelle ultime ore, alludono ad un punto fondamentale, anche sul piano strategico, per la costruzione di una alternativa democratica: nel Paese è aperta una impressionante e pervasiva “questione morale”. Il governo è tanto più pericoloso perché ne è il cemento e il punto di riferimento. La discriminante è di nuovo, come in altre fasi storiche, il rapporto tra mafie e politica, che coinvolge finanza, appalti, servizi, convenzioni, amministrazioni; lì dove il controllo di legalità è dal potere considerato con enorme fastidio. Attraverso il riciclaggio l’economia mafiosa si confonde con quella legale.
Credo, come Peppino Di Lello, che la più grande legge produttrice di intrecci tra economia legale e mafiosa sia stata la legge del 1992 che ha abolito, in nome del liberismo e del libero mercato, ogni controllo sulla circolazione dei capitali. Stiamo certamente pagando, su questo tema, anche la cultura liberista del centrosinistra, particolarmente ossessionato in quella fase storica.
Questa nuova questione morale ci parla della necessità di opposizione etica, politica, sociale. Ma ci parla anche della necessità di un’agenda parlamentare che, se l’opposizione parlamente non è una finzione per i dibattiti televisivi, bisognerebbe saper imporre, chiamando anche il presidente della Camera Fini ad un esercizio di coerenza sulla sua asserita volontà di legalità. La riforma del reato di voto di scambio è un passo normativo necessario per colpire i legami fra mafie e politica. L’Italia, come ci ricorda Don Ciotti, è uno dei paesi che ha firmato, ma non ancora ratificato, la convenzione penale europea sulla corruzione del 1999 e che ha depenalizzato un reato, il falso in bilancio, molto spesso origine dei fondi neri alla base delle attività corruttive. La proposta di legge sulle intercettazioni, poi, sottrae alla magistratura la possibilità di indagare ed alle cittadine e ai cittadini la possibilità di conoscere.
Oggi verrà assegnato, a Napoli il “Premio Siani” 2010 in ricordo di Giancarlo Siani, un eroe civile, ucciso dalla camorra. Fu un giovane amico, grande cronista che tentò di comprendere ed illustrare la geografia della camorra. Lo uccisero il 23 settembre del 1985 perché aveva denunciato il legame con il potere del clan di Torre Annunziata. Così come ci sentiamo tutti oggi Domenico Lopresto, il segretario dell’Unione Inquilini di Napoli, selvaggiamente picchiato dalla camorra per un motivo molto semplice: perché faceva “antimafia sociale”, perché, organizzando inquilini poveri e senza casa, affermava il diritto all’abitare, intralciando i traffici delle organizzazioni criminali e delle amministrazioni colluse. Organizzare presidii di democrazia sul territorio è il vero antidoto alle mafie. Domenico ce lo ricorda.

su Liberazione (23/09/2010)

sabato 18 settembre 2010

In che scuola torniamo?

L'inizio del nuovo anno scolastico conferma drammaticamente la gravissima situazione in cui versa la scuola della Repubblica, colpita da tagli e controriforme che priveranno milioni di giovani del diritto ad una istruzione qualificata. Decine di migliaia di docenti e di personale ATA, inoltre, sono espulsi dalla scuola dopo anni di precariato.
Siamo di fronte ad un’emergenza sociale senza precedenti, per le dimensioni dell’attacco all’occupazione in questo settore e per le conseguenze sul futuro delle giovani generazioni. Perfino le analisi internazionali ormai dimostrano il grave arretramento cui è sottoposto il sistema scolastico italiano.
Tutto questo richiede una mobilitazione attiva dell’intera società civile, insieme con le realtà scolastiche in lotta per la difesa della scuola della Costituzione. Le iniziative che in questi giorni si stanno diffondendo in tutto il territorio nazionale costituiscono occasioni di aggregazione ed espressione del conflitto che possono coinvolgere anche altri settori della conoscenza, come si è già verificato nello scorso autunno. Può nascere un grande movimento di massa capace di sconfiggere il governo e imporre il ritiro di tagli e delle controriforme.
Sostegno alle lotte in corso, organizzazione di manifestazioni e di controinformazione, partecipazione alle mobilitazioni e a tutto ciò che sarà individuato come utile a fronteggiare l’emergenza “diritto allo studio”, rappresentano l’impegno della Federazione della Sinistra per difendere l’accesso al bene comune della conoscenza.


I Giovani Comunisti di Salandra hanno distribuito i volantini di denuncia davanti il plesso scolastico di Ferrandina il giorno 13 settembre 2010.

venerdì 17 settembre 2010

FIAT - MELFI; FERRERO: "MARCHIONNE SE NE FREGA DELLE SENTENZE TALE E QUALE A BERLUSCONI"

mercoledì 15 settembre 2010 COMUNICATO STAMPA

Melfi, 15 set. 2010 - "Marchionne è peggio anche di Berlusconi, in quanto se ne frega della legge, straccia le sentenze della magistratura, si disinteressa totalmente delle raccomandazioni del capo dello stato e pure degli inviti dei vescovi italiani". E' quanto afferma il segretario nazionale del Prc/Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero, che questa mattina ha svolto un comizio davanti ai cancelli dello stabilimento Fiat Sata di Melfi. "A Melfi si vede di che pasta è fatto per davvero il volto della Fiat - denuncia Ferrero - I tre lavoratori ingiustamente licenziati non sono ancora stati reintegrati al loro posto, come invece imposto dalla legge. La Fiat utilizza la prepotenza, la minaccia e il ricatto di carattere mafioso sul posto di lavoro per porsi al di sopra della legge, per rifiutare i diritti ai lavoratori e venir meno ai propri doveri civici e sociali, fino a ignorare le sentenze. Ed è segno di profonda ingiustizia e subalternità che il ministro degli Interni non imponga il rispetto della legge alla Fiat solo per il nome e il potere che detiene".

"La Fiat è uno stato fuorilegge nello stato, che intende consolidare questo suo ruolo improprio e illecito - conclude il leader di Rifondazione - Come se non bastasse, infatti, vuol distruggere il contratto nazionale di lavoro, così da poter ricattare e sfruttare ulteriormente i lavoratori. Domani alle 12 saremo davanti al ministero di grazia e giustizia di via Arenula a Roma, insieme ai lavoratori e alla Fiom che non chiedono nulla di più che la corretta e repentina applicazione della sentenza e il reintegro di tre persone ingiustamente licenziate: saremo davanti al ministero della giustizia per chiedere che la legge valga per tutti e che si mantenga perciò il contratto nazionale".

Ufficio stampa Prc/Federazione della Sinistra

martedì 14 settembre 2010

Torna al Senato il “Collegato Lavoro” che non recepisce i contenuti del messaggio di Napolitano. Mercoledì presidio della Fds

Mentre il riflettori del circuito politico-mediatico sono accesi solo sulle quotidiane giravolte dei vari esponenti di una maggioranza in pezzi, rischia di essere approvata dal Senato l’ulteriore gravissima lesione alla democrazia di questo paese. Stiamo parlando del cosiddetto “collegato lavoro”, che il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere per gli evidenti profili di incostituzionalità nel marzo scorso, e che torna ora al Senato per l’approvazione definitiva senza che quelle sollecitazioni siano state recepite.
Il collegato lavoro rappresenta un tassello decisivo dell’offensiva in atto contro i diritti del lavoro, ad opera di Berlusconi e Confindustria.
Con esso si vuole fare in modo che le lavoratrici e i lavoratori siano gli unici cittadini a cui è impedito, di fatto, di ricorrere alla magistratura per far valere i propri diritti, in esplicito contrasto con l’articolo 24 della nostra Costituzione. Si vuole infatti che sotto il ricatto del posto di lavoro (Pomigliano docet), lavoratrici e lavoratori rinuncino al tutela del giudice ed accettino che su ogni controversia del rapporto di lavoro, decidano arbitri privati, non tenuti al rispetto dei contratti e delle leggi.
Mentre, per quanti rifiuteranno di sottostare al ricatto, vengono comunque drasticamente limitate le prerogative del giudice del lavoro, anche in questo caso in contrasto con l’articolo 101 della Costituzione. Con l’aberrazione per cui il giudice dovrebbe tener conto di quanto stabilito in sede di certificazione, anche se peggiorativo della legge e dei contratti collettivi, persino per le nozioni di giusta causa e giustificato motivo nei casi di licenziamento.
Si vuole anche, sempre attraverso il rafforzamento dell’ istituto della certificazione introdotto dalla legge 30 e finora sostanzialmente non applicato, far proliferare i contratti individuali, per privare i lavoratori delle garanzie della contrattazione collettiva, frammentare e precarizzare ulteriormente il mondo del lavoro.
La drastica limitazione dei termini per l’impugnazione dei licenziamenti, dei contratti di collaborazione e dei contratti a termine, infine, mira a rendere sostanzialmente impossibile far valere i propri diritti soprattutto ai lavoratori precari, che alla cessazione del rapporto di lavoro sperano prima di tutto in una riconferma e fanno causa solo se questa non c’è.
Il collegato lavoro insieme all’attacco al contratto collettivo, e alla volontà esplicita del governo di far fuori lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, vogliono ridurre il lavoro a pura merce usa e getta, senza diritti. Quella che è in atto è un’organica controriforma, eversiva della Costituzione. Se venisse sciaguratamente approvato, è chiaro che ogni strumento andrà messo in campo per farlo saltare. Intanto chiediamo alle forze dell’opposizione parlamentare di usare ogni strumento possibile in Aula e invitiamo tutte e tutti a partecipare al presidio che come Federazione della Sinistra promuoviamo a partire da Mercoledì 15.

Roberta Fantozzi
Segreteria nazionale PRC- Federazione della Sinistra

lunedì 13 settembre 2010

DISDETTA FEDERMECCANICA : GIÙ LE MANI DAI DIRITTI DEI LAVORATORI !

La disdetta unilaterale operata da Federmeccanica dimostra che la strategia di Marchionne non è un fatto isolato a Pomigliano. Indica una traiettoria sulla quale si posizionerà Confindustria, con il benestare dei sindacati compiacenti (Cisl e Uil), di quasi tutte le forze politiche e con il supporto dei grandi mezzi di informazione. L'unica preoccupazione di Federmeccanica, e di questo ampio fronte politico e sociale, è quella di scaricare per intero i costi della crisi sui lavoratori, con il miraggio di "recuperare competitività" tramite il congelamento dei salari e la cancellazione dei diritti conquistati in decenni di lotte. Si tratta di un atto arrogante e irresponsabile, in piena sintonia con le politiche del lavoro di un governo che ancora non ha capito che per puntare al progresso economico del nostro paese non si può prescindere da un rilancio della domanda interna e quindi da un aumento dei salari tra i più bassi in Europa, e poi non si lamentino in FIAT se le vendite dell'auto private in Italia sono calate del 29% !

Preoccupano ancor più le reazioni a caldo di Farina leader della Fim CISL che si dichiara "indifferente alla scelta compiuta" l’altro giorno dimenticandosi che il contratto del 2008 è stato l'ultimo sottoscritto da tutti i sindacati confederali e votato da lavoratori e lavoratrici, insomma una bizzarra idea di democrazia e di relazioni sindacali quella della Fim CISL ! Oggi ci sarebbe bisogno di indirizzi strategici completamente diversi, scelte che mirino al sostegno dei redditi di lavoratori e delle lavoratrici e che avvii, dopo tanto tempo, una seria riflessione sul tema del precariato giovanile. Le imprese chiedono prepensionamenti, un giovane su quattro non ha lavoro e il governo che fa innalza l'età pensionabile determinando a tutti gli effetti un blocco del turn over anche nel settore privato.

E' anche per queste ragioni che crediamo che la resistenza messa in campo dalla Fiom è il fatto socialmente e politicamente più rilevante di questa fase. La manifestazione del 16 ottobre, convocata dai metalmeccanici della CGIL, assume quindi un significato ancor più rilevante perchè parla di lavoro, di democrazia e di futuro. Non va quindi vissuta come una cosa tra le altre, ma il fatto più significativo dell'autunno. Per quanto ci riguarda come coordinamento della collina materana del PRC organizzeremo in questa provincia con tutte le forze politiche e sociali che ne condividono i contenuti, iniziative comuni che favoriscano il massimo della partecipazione. Lanciamo un appello affinchè vengano costituiti da subito comitati unitari per il 16 ottobre chiedendo coerenza anche a quelle forze che si sono giustamente mobilitate in difesa della Costituzione attaccata dal governo. Coerenza vuole che la Carta Costituzionale si difenda sempre, quando la attacca Berlusconi, ma anche quando la attacca Marchionne.

Partito della Rifondazione Comunista

Coordinamento della Collina Materana

sabato 11 settembre 2010

Costituzione del Coordinamento della Collina Materana del Partito della Rifondazione Comunista

Comunicato


Il giorno 03 Settembre 2010 presso il Circolo cittadino del Partito della Rifondazione Comunista di Salandra, facendo seguito alla decisione presa a margine del Comitato Politico Regionale, il quale scioglieva le Federazioni Provinciali di Potenza e Matera e dava vita a Coordinamenti di Area, si sono riuniti i rappresentanti dei circoli di Matera, Miglionico, Pomarico, Salandra,
Ferrandina, Irsina, Tricarico, Grassano e Oliveto Lucano per avviare la costituzione di un Coordinamento della Collina Materana del Partito della Rifondazione Comunista e per stabilire azioni comuni di lotta alla crisi.

Il Coordinamento si pone come obiettivo l’organizzazione di iniziative politiche sul territorio, sia in forma visibile nei confronti dei cittadini elettori, sia in forma di interlocuzione diretta con le forze politiche, sociali e culturali della collina materana.

Il Coordinamento è così formato: Nicola Sardone per il circolo di Tricarico, Vincenzo Ritunnano per Grassano, Anna Onorati per Oliveto Lucano, Nicola Saponara per Salandra, Antonio Centonze per Miglionico, Giovanni Rivecca per Pomarico, Donato Petrillo per Irsina, Giuseppe Dubla per Ferrandina e Giuseppe Paterino per Matera.

Il segretario del Prc: «Notizie false per distruggere gli avversari»

di Vittorio Bonanni

Siamo ormai all’assurdo se un giornale, e non uno qualsiasi ma il primo quotidiano nazionale, pubblica una notizia palesemente falsa. Stiamo parlando della pagina 13 del Corriere della Sera di ieri intitolata “Ferrero e Diliberto nelle liste pd, l’ira di Veltroni”. Secondo il quotidiano di via Solferino Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria, sarebbe stato incaricato da Pier Luigi Bersani non di stringere un’alleanza elettorale, ma addirittura di presentare dentro le proprie liste candidati del Prc e del Pdci con il fine di eleggere una ventina di deputati tra Camera e Senato. Un’operazione grave quella del quotidiano milanese prima ancora che dal punto di vista politico da quello deontologico, visto che a quanto pare i diretti interessati non sono stati neanche ascoltati. Naturalmente la reazione degli esponenti della Federazione della sinistra non si è fatta attendere.
«La notizia secondo cui il sottoscritto e Diliberto si candiderebbero all’interno delle liste del Pd - dice furente il segretario del Prc - è falsa e destituita di ogni fondamento. Non ce lo ha mai proposto il Pd e non lo abbiamo mai proposto noi. E’ così assurda che nonostante la fantasia non difetti non è mai venuta in testa a nessuno. Resta il fatto che noi comunisti o veniamo ignorati o denigrati». Per l’ex ministro della Solidarietà sociale «è incredibile che tutto venga ridotto a poltiglia e a gossip perdendo di vista una cosa fondamentale: la necessità di cacciare Berlusconi perché finché sta in piedi demolisce non solo la Costituzione ma ogni elemento della vita democratica». Ferrero torna sull’alleanza democratica, unico accordo realizzato con Bersani, unica intesa «che può battere Berlusconi mentre è del tutto evidente che ci sono giornali e parti di partito che puntano esattamente alla stessa cosa che dice Veltroni, cioè che il Pd corra da solo. Con l’unico risultato di far vincere Berlusconi ancora una volta».
Per Cesare Salvi, portavoce della Federazione della sinistra, «gli anni di esperienza politica ormai non sono pochi - dice l’ex ministro del Lavoro - ma mi è difficile ricordare una notizia pubblicata con tanto rilievo e priva però di qualsiasi fondamento. Che Ferrero e Diliberto si candidino nelle liste del Pd non solo è una cosa del tutto falsa ma nasconde un’operazione che è quella di spostare a destra il partito di Bersani e l’asse delle ipotizzate alleanze e stroncare la forza di sinistra più coerente che in questo momento è la Federazione».
Nel tentativo di screditare ulteriormente Rifondazione, la Federazione e, infine, lo stesso Bersani che con queste forze vorrebbe fare alleanze così strette da cooptare i loro dirigenti nelle liste delle prossime elezioni, il Corriere tira in ballo anche il terrorismo, ovvero Francesco Piccioni, ex brigatista, da molti anni collaboratore de il manifesto, che secondo il giornale diretto da Ferruccio de Bortoli, starebbe diventando il portavoce di Ferrero. Il quale smentisce nel modo più assoluto: «Per quanto riguarda Piccioni - precisa il segretario del Prc - dopo aver pagato il suo pesante debito con la giustizia, è oggi giornalista de il manifesto che conosco da anni. Non è dipendente di Rifondazione Comunista ne è in procinto di diventarlo. Non è il mio portavoce ne è in procinto di diventarlo, così come non ha alcun incarico a Rifondazione Comunista. Mi dispiace - conclude Ferrero- che dopo i casi Boffo e Fini continui l’uso delle relazioni tra le persone a fini di distruzione politica».
Naturalmente l’operazione giornalistica del Corriere, ma meglio sarebbe chiamarla opera di killeraggio politico, ha scosso anche il principale partito di opposizione, dove gli avversari di Bersani hanno chiesto addirittura la convocazione degli organismi dirigenti, malgrado Migliavacca, coordinatore della segreteria, abbia smentito «categoricamente che vi siano stati accordi politici, confronti su candidature e voti con Ferrero e Diliberto. Sono informazioni - ha aggiunto il dirigente democratico - destituite da ogni fondamento». Reazione altrettanto dura da parte di Filippo Penati, capo della segreteria politica che stigmatizza quelle che definisce «veline infondate costruite ad arte e fatte circolare con sapienza per suscitare zizzania e manipolare il dibattito interno del Pd. Trovo paradossale che si chieda la convocazione degli organismi dirigenti del partito sulla base di informazioni di questo tipo». Insomma un quadro disarmante quello che emerge dopo la trovata del Corriere, che trasforma anche dentro il centro-sinistra il confronto politico in una lotta all’arma bianca dove vince quello che conosce meglio i colpi bassi.

Ferrero: smentisco nel modo più categorico le affermazioni del Corriere della sera

La notizia secondo cui il sottoscritto e Diliberto si candiderebbero all’interno delle liste del PD è falsa e destituita
di ogni fondamento. Non ce lo ha mai proposto il PD e non lo abbiamo mai proposto noi. E’ così assurda che nonostante la fantasia non difetti non è mai venuta in testa a nessuno. La Federazione della Sinistra - di cui PRC e PdCI fanno parte - ha proposto da mesi la costruzione di una alleanza democratica finalizzata a sconfiggere
Berlusconi, a difendere la democrazia e a cambiare la legge elettorale in senso proporzionale. L’ho fatto personalmente nel mio intervento alla Manifestazione unitaria delle opposizioni in difesa della democrazia che si è tenuta in Piazza del Popolo il 13 marzo scorso, lo ha riproposto Bersani qualche giorno fa. Questo è l’oggetto di
pubblico confronto tra noi e il PD: la costruzione di un fronte democratico per battere Berlusconi e superare l’emergenza democratica, non la partecipazione all’Ulivo, al governo ne tantomeno la partecipazione nelle liste del PD.

In secondo luogo non ci è mai stato proposto nessun scambio sulle primarie e forse è bene ricordare che Rifondazione Comunista è l’unico partito oltre a SEL che ha appoggiato Vendola nelle primarie in Puglia.
Per quanto riguarda Francesco Piccioni, dopo aver pagato il suo pesante debito con la giustizia, è oggi giornalista del Manifesto che conosco da anni. Non è dipendente di Rifondazione Comunista ne è in procinto di diventarlo. Non è il mio portavoce ne è in procinto di diventarlo, così come non ha alcun incarico a Rifondazione Comunista.
Mi dispiace che dopo i casi Boffo e Fini continui l’uso delle relazioni tra le persone a fini di distruzione politica.

giovedì 9 settembre 2010

Altro che mafia vinta, gli onesti lasciati soli

di Giovanni Russo Spena

La brutale uccisione di Angelo Vassallo, con cui sono intercorse relazioni di stima ed affetto, è un brutto e tragico richiamo alla realtà. E’ un grande omicidio politico-camorristico. Avevamo detto ripetutamente, nelle ultime settimane, con Saviano, Don Ciotti, Agnoletto, De Magistris, che erano frutto di banalità propagandistiche le frottole del ministro dell’Interno il quale asseriva che entro tre mesi il governo avrebbe sconfitto la mafia. Frottole ignoranti e, per giunta, pericolose. Perché nascondono l’intreccio crescente tra economia legale e illegale, vogliono nascondere i processi di accumulazione economica che sono il fondamento primo della nuova borghesia mafiosa. Né si dimentichi che il governo ha fatto approvare leggi che hanno favorito la valorizzazione del capitale mafioso e avallato comportamenti che hanno permesso una pervasività istituzionale di illegalità amministrative di stampo piduista. Penso a leggi come i condoni, lo scudo fiscale, la vendita all’asta di beni confiscati alle mafie... Quello di Vassallo, dunque, è un omicidio politico. Ed è un omicidio politico “annunziato”.
Chi si è interessato del fatto che in comuni cilentani vicini al suo vi erano muri tappezzati con manifesti che annunciavano la morte di Vassallo? Ha scritto con parole dolenti Roberto Saviano: «Questa storia meritava di essere raccontata assai prima del sangue. Forse il finale sarebbe stato diverso». E’ inquietante ciò che afferma il fratello di Vassallo, che sostiene che Angelo gli parlava, negli ultimi tempi, di settori di forze dell’ordine collusi con le mafie. Anche su questo tema scabroso avevamo molto lavorato nel passato (chi si ricorda del depistaggio attuato dopo l’uccisione di Peppino Impastato?); forse abbiamo lasciato cadere, negli ultimi tempi, forme e strutture organizzate di inchieste e denunce. Questo omicidio è politico anche perché vuole colpire perfino gli assetti istituzionali, le autonomie del decentramento; è un segnale terribilmente netto e crudele, che rischia di incidere molto sulle politiche locali, in un futuro immediato, lì dove ingenti risorse e fondi pubblici dovranno essere utilizzati. Il segnale camorristico è preciso: se non permetterete che la borghesia mafiosa gestisca, attraverso amministratori collusi, le risorse, farete la fine di Vassallo, ucciso perché amministratore per bene, che non si piegava. Ha detto giustamente ieri il magistrato Cantone, che ha alle spalle inchieste molto rilevanti: «Vi sono amministratori per bene e amministatori collusi. La camorra tratta, corrompe, media; ma poi spara».
E sceglie, non a caso, in questa fase, spesso l’autorappresentazione in politica, elegge direttamente propri uomini e proprie donne, delega molto meno al sistema politico; si riappropria della mala politica e di settori dello Stato. Anche il Cilento diventa “terra di Gomorra”. E se la politica locale si riduce ad un corpo a corpo drammatico fra gli amministratori onesti (lasciati soli dallo Stato e spesso avversati dal governo) e la nuova camorra economico-strutturale, saremo un Paese che avrà sempre più bisogno di eroi, che sfidano quotidianamente il martirio. Sui territori del sud, è, infatti, in corso una sfida fondamentale che è “nazionale” nel senso gramsciano del termine; resa più difficile dall’indirizzo leghista e secessionista del regime. Occorre un ritorno alla politica vera, costituzionale, che è l’unica nemica delle mafie, perché tenta di rilanciare coscienza e senso di massa, perché ricerca la contraddizione di fondo tra capitale e vita, che è, oggi, perno della nuova questione meridionale. Le mafie sono nelle istituzioni, nelle polizie, nell’economia, nel lavoro. Non lasciare soli gli amministratori come Angelo Vassallo signfica riprendere le battaglie di Angelo, sull’ambiente, sulla costa, sul mare, sui beni comuni; essi devono diventare le nostre battaglie, ricostruendo un popolo e una società. La borghesia mafiosa siede nei consigli di amministrazione, gestisce lo smaltimento dei rifiuti, si fa assegnare finanziamenti pubblici attraverso società criminali o prestanomi. E’ lì, allora, il campo dell’immpegno istituzionale e sociale. E’ parte del conflitto contro il capitale, nelle forme, nelle dimensioni che esso assume nei territori meridionali. Angelo Vassallo è uno di noi.

su Liberazione (08/09/2010)

lunedì 6 settembre 2010

Intervista a Paolo Ferrero – Attenti al berlusconismo: moribondo quello “politico” resta sempre quello “sociale”

di Romina Velchi

Da una cosa, Paolo Ferrero, mette in guardia anche per non ripetere gli errori del passato (leggi Unione 2006): pensare che la crisi del berlusconismo politico coincida con la crisi del progetto sociale della destra. «L’offensiva in atto contro i diritti dei lavoratori, di cui Marchionne è il capofila, è pienamente operante» avverte. E siccome nel Pd rimane ben radicata l’ideologia liberista, non ci sono le condizioni per governare insieme, mentre vi è l’occasione di sconfiggere Berlusconi nelle elezioni e costruire una sinistra d’alternativa attraverso «lotte e mobilitazioni nel Paese».
Si dice che siamo in una condizione mai verificatasi prima: non c’è una maggioranza e non c’è un’opposizione. Sei d’accordo?
E’ la crisi molto acuta del berlusconismo politico che determina questo fenomeno e che coinvolge il terreno istituzionale determinando la crisi del bipolarismo. Si tratta di una crisi non dentro ma del sistema politico, che sta trascinando la seconda Repubblica in una palude e sta causando l’esplosione delle destre nel momento in cui, grazie all’attuale legge elettorale, godono di una grande maggioranza parlamentare.

Questo per quanto riguarda la maggioranza. E l’opposizione?
Se è sotto gli occhi di tutti la crisi del berlusconismo come dire “politico” il berlusconismo sociale (come quello ideologico), invece, non è per nulla in difficoltà. Anzi, marcia dritto sparato verso la demolizione dei diritti dei lavoratori, lo smontaggio del contratto nazionale, la distruzione del quadro costituzionale. Le classi dirigenti non hanno alcuna strategia per uscire dalla crisi economica, manca una qualsiasi politica industriale (non per caso il governo Berlusconi lascia per mesi il ministero dello sviluppo economico senza un titolare). L’unica idea è tagliare diritti e salari per farli diventare omogenei a quelli dei paesi emergenti, scaricando così tutta la concorrenza sui lavoratori. In questa situazione, l’ideologia liberista caratterizza buona parte del centrosinistra (basta vedere Veltroni su Pomigliano) ed è purtroppo diventata senso comune nel paese. Ci troviamo quindi di fronte ad una opposizione minoritaria incapace di prospettare una alternativa.
La vicenda Fiat in questo senso, appare emblematica.
Marchionne non fa l’imprenditore, fa il padrone. Senza idee, senza innovazione, è il volto sociale del berlusconismo. Mentre la Germania, dove gli stipendi sono il doppio dei nostri, produce cinque milioni di vetture, l’Italia appena seicentomila. Marchionne dice che ne vuole arrivare a produrre un milione e quattrocentomila: per venderle a chi se il suo unico progetto è quello di contrarre i salari? La sua non è altro che un’operazione di classe, che non porta ad un rilancio del sistema Italia: fanno pagare la crisi ai lavoratori per mantenere intatti i propri privilegi. E intanto tagliano sulla scuola e sulla cultura. Ma in questo modo sfondano il paese, con conseguenze che graveranno per gli anni a venire. Non interessa innovare, che so migliorare l’efficienza energetica puntando sul solare; no, quello che conta è fare affari con il nucleare o con il ponte sullo Stretto. Per non parlare dell’arraffa arraffa sulle privatizzazioni.
Stai dipingendo un quadro assai losco. Come si può invertire la rotta?
Intanto, si può capitalizzare la crisi del berlusconismo sul piano politico, sapendo, come ho detto, che non risolverà tutti i problemi. Bisogna lavorare per le dimissioni del governo Berlusconi, perché non è per nulla automatico che ci si arrivi. Per quanto ci riguarda, ciò significa organizzare l’opposizione nel paese con la parola d’ordine di cacciare Berlusconi, mettendo in risalto i suoi disastri sociali e il suo profilo sovversivo. Per questo proponiamo a tutte le forze di opposizione di sostenere e partecipare alla manifestazione Fiom del 16 ottobre: dovrebbe essere la mobilitazione di tutti, perché lì si tengono insieme questione democratica e questione sociale.
E in caso di dimissioni di Berlusconi?
Noi siamo per elezioni subito. Per almeno due motivi. Il primo è che Dio solo sa che politica sociale ed economica farebbe un governo di transizione. Penso al governo Dini, nato dopo che Berlusconi cadde sulle pensioni nel 1994: la riforma Dini delle pensioni non è che si discostasse granché da quella della destra. Il rischio è che un simile governo faccia dei disastri tali da permettere a Berlusconi di recuperare consenso in un anno.
Il secondo motivo?
E’ legato alla legge elettorale. Ci sono troppe proposte in campo, compreso il doppio turno alla francese che peggiorerebbe la situazione. Quale riforma elettorale farebbe questo governo? No, un governo di transizione non è per nulla auspicabile.
Ma anche andare a votare con il porcellum…
Votare subito con il porcellum e relativo premio di maggioranza dovrebbe avere, secondo noi, lo scopo di cacciare Berlusconi e di modificare la legge elettorale in senso proporzionale, oltre che, ovviamente, introdurre elementi di giustizia sociale. Nel momento in cui è matura la possibilità di sconfiggere il Cavaliere occorre cogliere questa occasione. Il nostro sì alla proposta del fronte democratico (che per altro la Federazione della Sinistra avanza da circa un anno) contiene la proposta di cambiare la legge elettorale in senso proporzionale, sulla scia del modello tedesco. Questo accordo per sconfiggere Berlusconi e cambiare la legge elettorale non è un programma di governo: come ho detto, non ce ne sono assolutamente le condizioni. Insomma, dei due cerchi di Bersani (fronte democratico e nuovo Ulivo), noi siamo interessati a quello più largo al fronte democratico, non certo ad un Ulivo che ha grandi superfici di contatto con i poteri forti del paese. Il fronte democratico può essere il punto di incontro tra due progetti politici radicalmente distinti: l’Ulivo e la sinistra di alternativa.
In mezzo c’è il Pd: quale linea prevarrà secondo te?
Veltroni ripropone la logica del bipolarismo secco, che espunge ogni elemento di classe e di sinistra (e che regala a Berlusconi l’Italia per i prossimi 150 anni). Bersani ha invece un’idea pluralista della politica efficace per battere Berlusconi. La sua proposta è utile per uscire dal bipolarismo: un nuovo assetto istituzionale, basato su un sistema elettorale proporzionale, ridarebbe autonomia alla sinistra, non più costretta ogni volta a scegliere alleanze coatte (il successo della Linke dipende anche da questo). Ed è utile anche perché tutte le posizioni di sinistra oggi ambigue sarebbero obbligate a decidere con chi stare: con l’Ulivo o con la Sinistra? Insomma, è una proposta di dialogo, è un passo avanti. Prima la discussione era tutta su come accentuare il bipolarismo, ora si discute di proporzionale. Si è aperta una partita, in un terreno di gioco a noi più favorevole: giochiamola.
Più facile a dirsi che a farsi per una Federazione delta Sinistra che non ha voti da far pesare…
Noi siamo utili e vogliamo fare la nostra parte per sconfiggere Berlusconi. Dopo di che, Bersani propone un nuovo Ulivo, noi la costruzione e l’unità della sinistra d’alternativa. In primo luogo attraverso lotte e mobilitazioni nel paese a partire dalla mobilitazione del 16 di ottobre. In secondo luogo avanzando un progetto alternativo di società che parta dalla messa in discussione della globalizzazione neoliberista: ripresa dell’intervento pubblico in economia; allargamento dei beni pubblici; tassazione delle rendite; riconversione ambientale del modello produttivo. Il terreno di costruzione di questa alternativa è l’Europa e su questo lavoriamo con la Sinistra Europea. Rilanciare la sinistra e la Rifondazione Comunista vuol anche dire operare per capovolgere il senso comune ormai imperante, retaggio della Milano da bere: quello secondo cui se sei povero è colpa tua e i ricchi hanno sempre ragione; e secondo cui per uscire dalla condizione di proletario o devi vincere al totocalcio oppure fare la velina. Dobbiamo riuscire a ridare alle persone un senso di sé, una soggettività, una dignità che si sono smarriti nell’epoca della videocrazy, nella quale conta chi vince e guai a chi perde. Per costruire una sinistra e battere, con Berlusconi, il presidenzialismo populista e a-democratico, occorre ricostruire un protagonismo sociale in cui gli sfruttati non attendano passivamente il santo di turno a cui chiedere il miracolo ma piuttosto ridiventino protagonisti della costruzione del loro futuro.

su Liberazione (05/09/2010)

Nardiello (Pdci-Fds): Idv dica se vuole restare in Giunta

“Al senatore Belisario che dichiara che “la vicenda dell’ospedale Tinchi rischia di diventare il Vietnam della Giunta Regionale”, per chi ha da sempre sostenuto l’eroica lotta dei viet cong, schierandosi solo e dal primo momento dalla parte dei comunisti vietnamiti, non resta che augurare un chiarimento politico definitivo da parte di IdV, perché non si può fare contemporaneamente i nord e i sudvietnamiti”. E’ quanto afferma Giacomo Nardiello, componente della segreteria regionale e della direzione nazionale del Pdci-FdS, aggiungendo che “in giunta non si sta per forza. Se pertanto IdV non ravvisa più le condizioni per proseguire una responsabilità di giunta da continuare con lealtà per attuare il programma di legislatura appena agli inizi, sono certo – aggiunge Nardiello – che nessuno della maggioranza di centrosinistra si straccerà le vesti. E’ ora però di smetterla con i ricatti e di dimostrare piena responsabilità perché la vicenda dell’ospedale Tinchi è un problema troppo serio che riguarda un’intera comunità e pertanto IdV non può votare in Giunta provvedimenti con il suo assessore e poi sostenere il contrario. La fase di ripresa politica che ci attende è carica di impegni gravosi sul fronte della sanità come del lavoro, della difesa degli attacchi leghisti e del Governo contro il Mezzogiorno, per la tutela dei diritti dei lavoratori seriamente minacciati e contro i tagli del Ministro Tremonti e dunque richiede il massimo dell’impegno di tutto il centrosinistra senza opportunismi e furbizie. E’ una fase – dice ancora Nardiello – che deve vedere alzare il livello di impegno del Governo Regionale con il sostegno di tutte le componenti di maggioranza e il consenso delle forze sociali. Per questo da settimane abbiamo chiesto all’assessore Mastrosimone, assessore al Lavoro che ha brillato per il silenzio assoluto sulla vicenda dei tre operai della Fiat licenziati e non ancora reintegrati in fabbrica, un’iniziativa per affrontare i problemi dei precari della scuola e garantire il regolare avvio del nuovo anno scolastico ed invece apprendiamo che l’iniziativa è nelle mani del Ministro Gelmini. Non si può giocare a chi è più “irriducibile” sui temi della sanità o dell’ambiente perchè i comunisti e la sinistra non hanno certamente da apprendere lezioni dal senatore Belisario”.

domenica 5 settembre 2010

Al via il percorso unitario del nuovo soggetto giovanile della sinistra

Dispositivo approvato dall’attivo unitario del campeggio “Alternativa Rebelde 2010″

Le compagne e i compagni che hanno partecipato al campeggio “Alternativa Rebelde 2010″ valutano positivamente il dibattito che si è sviluppato in questa settimana, che ha registrato notevoli e significative convergenze tra i soggetti promotori, pressoché in tutti i dibattiti e i workshop tematici.

In particolare consideriamo positivi i due documenti politici votati dalle organizzazioni giovanili che definiscono percorsi analoghi e convergenti. Riteniamo infatti inderogabile avviare un percorso che porti entro la fine dell’anno alla costruzione di un momento costitutivo nazionale. L’urgenza di un’aggregazione politica comunista e della sinistra che, con una prospettiva di autonomia dalle forze moderate, fronteggi gli attacchi violentissimi contro la nostra generazione è sotto gli occhi di tutti e motiva il nostro impegno unitario.

Ci impegniamo affinché questo percorso sia realmente aperto e partecipato, viva a partire dai teritori e non sia ridotto alla somatoria dell’esistente. Un percorso che alluda alla necessità di unire i comunisti, le diverse esperienze della sinistra d’alternativa e le diverse soggettività critiche e anticapitaliste a partire dalle lotte degli studenti e dei lavoratori e dal conflitto sociale.

Lavoriamo affinché le due organizzazioni giovanili trovino da subito, sui territori e a livello nazionale, momenti di coordinamento tra loro e con i nuovi soggetti che si diranno disponibilli, anche allo scopo di elaborare nome, logo, progetto e priorità di intervento del nuovo soggetto politico generazionale.

Un soggetto generazionale unitario della sinistra anticapitalista

Dentro la crisi economica del capitalismo, dentro la crisi sociale e culturale del nostro Paese la nostra generazione reclama un futuro che oggi le è negato. Lavoro, salario, diritti, libertà di realizzare le proprie aspirazioni, diritto allo studio e alla ricerca, libertà di autodeterminazione del proprio corpo e del proprio orientamento sessuale. Diritto di vivere in una società equa e democratica, come sancisce la Costituzione, come hanno indicato le straordinarie lotte dei lavoratori, degli studenti e delle donne nella seconda metà del secolo scorso. In breve: diritto di progettare la propria vita. Tutto questo ci è negato da un sistema economico ingiusto e fallimentare e, in questi ultimi anni, da governi che hanno sistematicamente rappresentato gli interessi forti del nostro Paese (Confindustria, grandi banche, Vaticano).

Il capitalismo ha portato a termine la sua rivoluzione passiva, imponendo parallelamente un’ideologia che ha progressivamente scardinato le “grandi narrazioni” popolari e democratiche del Novecento e imposto una cultura dell’individualismo e dell’egoismo che ha accompagnato i processi di parcellizzazione del ciclo produttivo e di frantumazione della classe operaia.

Ma la sua opera più riuscita è stata la capacità di fare assumere sempre più alla sinistra e alle forze progressiste il proprio punto di vista, cioè il punto di vista dell’avversario di classe.

In questo scenario drammatico la nostra generazione deve battere un colpo. E all’interno di essa le forze più dinamiche che guardano ad uno scenario di trasformazione devono lavorare con l’unico obiettivo di accumulare forze allo scopo di invertire i rapporti sociali.

Non siamo soli: abbiamo attraversato l’Onda e lottato insieme ai giovani operai di Pomigliano che non si sono voluti piegare al ricatto della Fiat, abbiamo occupato scuole e Università contro i processi di privatizzazione e i tagli e abbiamo reclamato, assieme alle migliaia di giovani migranti che popolano le città italiane, diritti di cittadinanza e diritti sociali per tutti. Abbiamo fatto dell’antifascismo militante la cifra fondante della nostra identità insieme ad una nuova generazione di resistenti che ha contrastato quartiere per quartiere i rigurgiti di neofascismo, xenofobia, razzismo, antisemitismo. Abbiamo dato vita attivamente a tutti i Pride e agli appuntamenti del movimento GLBTQI consapevoli che il diritto ad un amore e ad una sessualità libere e autodeterminate sono condizioni determinanti per una società democratica. Questi sono, insieme, il nostro soggetto della trasformazione, i corpi vivi del conflitto sociale e di classe attraverso le cui lotte vogliamo costruire un’alternativa al sistema capitalistico.

Soggetti vivi, soggetti di movimento, sinistra sociale, non ceti politici, sigle, burocrazie di partito.

Il tema oggi in campo è dare uno sbocco politico autorevole e permanente a queste lotte e a questa conflittualità sociale potenzialmente rivoluzionaria. Il tema, classicamente, è quello del soggetto politico e, per questa via, quello della ricostruzione di un nesso permanente tra le due categorie (il politico e il sociale) che in questo inizio di secolo si sono in misura sempre più drammatica separate e disgiunte.

È indubbio che le/i Giovani Comuniste/i siano, a livello giovanile, l’organizzazione politica di sinistra più radicata e più riconosciuta. Lo siamo ancora, nonostante la scissione subita, gli errori compiuti, gli attuali limiti e le attuali debolezze.

Tuttavia sappiamo di essere ampiamente insufficienti per lo scopo che abbiamo indicato. Per questo dobbiamo metterci a disposizione di un percorso di aggregazione di tutte le forze, sociali e politiche, interessate a costituire, collettivamente, il punto di riferimento delle lotte e del conflitto sociale della nostra generazione. Consapevoli che non esiste oggi in Italia alcun progetto politico alternativo al nostro (all’interno del quale la persistenza e il rilancio della nostra struttura organizzata non sono in discussione) in grado di prendere il nostro posto e consapevoli che è finito il tempo della competizione sterile tra soggetti politici e organizzazioni giovanili tra loro difficilmente distinguibili.

È oggi più che mai importante dare vita a un processo di aggregazione generazionale capace di intrecciare le battaglie e le esigenze dei giovani del nostro Paese: giovani lavoratori, precari, studenti, giovani donne, migranti. Un processo che porti alla nascita di un nuovo soggetto politico giovanile comunista e della sinistra anticapitalista che, rispettando le differenze di cultura e di pratica politica di chi ne farà parte, sappia vivere come corpo collettivo.

Proponiamo, come primo terreno di aggregazione, la realizzazione di tre campagne, assieme a tutti i singoli, le associazioni, i movimenti, le organizzazioni, i centri sociali, i centri di studio, i collettivi che saranno disponibili, a partire dalla Fgci che ha già manifestato la sua disponibilità: sulla precarietà (per un salario minimo garantito e per l’abrogazione della legge 30), per i diritti civili (contro il sessismo e l’omofobia) e per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.

Accanto a questo occorre da subito avviare percorsi di formazione e di autoformazione, definire l’orizzonte strategico e l’immaginario con i quali competere con le forze moderate, l’avversario di classe e l’anti-politica diffusa.

L’ambizione è la costruzione di un soggetto unitario che, superando gli steccati identitari, getti le basi per la costruzione di un’ampia sinistra anticapitalista a livello generazionale. Un progetto di lungo respiro, che serva non soltanto a noi oggi ma anche a chi sarà giovane e rivoluzionario tra anni e decenni.

Proponiamo di aprire un percorso che, da oggi sino a metà novembre, veda impegnati il livello nazionale e le nostre strutture territoriali nel coinvolgimento dei singoli e dei soggetti interessati al processo unitario.

In particolare, invitiamo i territori a promuovere momenti di iniziativa e coordinamento tra tutti i soggetti interessati a costruire e ad abitare questo luogo, poiché riteniamo che il percorso debba partire dal basso e dai territori prima di giungere al momento della sintesi.

A fine anno, a completamento di questo percorso inclusivo e partecipato, terremo una grande assemblea nazionale che, raccogliendo le esperienze e le istanze dei territori, darà forma compiuta al processo individuato con la costituzione di un approdo unitario.

Il coordinamento nazionale assegna all’esecutivo nazionale il compito di raccogliere le proposte in merito al logo e al nome del nuovo soggetto elaborate con la collaborazione dei territori.

2 Settembre 2010

giovedì 2 settembre 2010

COMUNICATO STAMPA: GEOGASTOCK E RILANCIO DELLA VALBASENTO

La crisi economica della Regione Basilicata, il cui tessuto produttivo peraltro è sempre stato farraginoso e anacronistico, ha raggiunto l’apice della sua gravità e sta seriamente minando la possibilità stessa di sviluppo e riscatto della nostra terra.

Negli ultimi anni abbiamo assistito allo smantellamento del polo chimico della Valbasento, nella totale inerzia delle istituzioni locali e al conseguente crescere di disoccupazione, povertà e spopolamento dell’area. Nonostante la crisi in atto sia globalizzata, di sistema e diretta verso una vera e propria operazione di macelleria sociale, un barlume di speranza per il nostro territorio è rappresentato da alcuni importanti progetti di investimento nel settore energetico che da anni giacciono nelle oscure stanze della burocrazia regionale. Nello specifico, la società Geogastock spa, ha depositato da tempo un progetto di stoccaggio di gas utilizzando pozzi naturali dismessi ubicati nei comuni di Salandra, Ferrandina e Pisticci. Tale operazione, oltre a garantire un intervento di messa in sicurezza delle vecchie cavità e delle vecchie condutture, potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per le grosse ricadute occupazionali che si avrebbero nell’immediato: si parla di circa 200 unità lavorative per 28 mesi e di circa 20 unità per il prosieguo dell’attività. In una situazione drammatica dal punto di vista economico-sociale, con famiglie disperate e giovani senza prospettive, considerando il fatto che non si intravedono rischi per la salute e il territorio (si tratta infatti di ripristinare condizioni naturali), non si riesce a capire il perché si metta in stato di quiescenza un tale investimento. Il circolo di Rifondazione Comunista di Salandra, pur sostenendo con forza lo sviluppo delle energie rinnovabili, ha espresso parere favorevole su tale progetto ed intende sostenere l’iniziativa nel tentativo di dare risposte al territorio. In questo particolare momento storico, non possiamo permettere che si perdano occasioni fondamentali per la sopravvivenza stessa delle nostre piccole comunità.

Salandra, lì 1 settembre 2010

Nicola SAPONARA

(Consigliere comunale Prc)