di Giovanni Russo Spena
La brutale uccisione di Angelo Vassallo, con cui sono intercorse relazioni di stima ed affetto, è un brutto e tragico richiamo alla realtà. E’ un grande omicidio politico-camorristico. Avevamo detto ripetutamente, nelle ultime settimane, con Saviano, Don Ciotti, Agnoletto, De Magistris, che erano frutto di banalità propagandistiche le frottole del ministro dell’Interno il quale asseriva che entro tre mesi il governo avrebbe sconfitto la mafia. Frottole ignoranti e, per giunta, pericolose. Perché nascondono l’intreccio crescente tra economia legale e illegale, vogliono nascondere i processi di accumulazione economica che sono il fondamento primo della nuova borghesia mafiosa. Né si dimentichi che il governo ha fatto approvare leggi che hanno favorito la valorizzazione del capitale mafioso e avallato comportamenti che hanno permesso una pervasività istituzionale di illegalità amministrative di stampo piduista. Penso a leggi come i condoni, lo scudo fiscale, la vendita all’asta di beni confiscati alle mafie... Quello di Vassallo, dunque, è un omicidio politico. Ed è un omicidio politico “annunziato”.
Chi si è interessato del fatto che in comuni cilentani vicini al suo vi erano muri tappezzati con manifesti che annunciavano la morte di Vassallo? Ha scritto con parole dolenti Roberto Saviano: «Questa storia meritava di essere raccontata assai prima del sangue. Forse il finale sarebbe stato diverso». E’ inquietante ciò che afferma il fratello di Vassallo, che sostiene che Angelo gli parlava, negli ultimi tempi, di settori di forze dell’ordine collusi con le mafie. Anche su questo tema scabroso avevamo molto lavorato nel passato (chi si ricorda del depistaggio attuato dopo l’uccisione di Peppino Impastato?); forse abbiamo lasciato cadere, negli ultimi tempi, forme e strutture organizzate di inchieste e denunce. Questo omicidio è politico anche perché vuole colpire perfino gli assetti istituzionali, le autonomie del decentramento; è un segnale terribilmente netto e crudele, che rischia di incidere molto sulle politiche locali, in un futuro immediato, lì dove ingenti risorse e fondi pubblici dovranno essere utilizzati. Il segnale camorristico è preciso: se non permetterete che la borghesia mafiosa gestisca, attraverso amministratori collusi, le risorse, farete la fine di Vassallo, ucciso perché amministratore per bene, che non si piegava. Ha detto giustamente ieri il magistrato Cantone, che ha alle spalle inchieste molto rilevanti: «Vi sono amministratori per bene e amministatori collusi. La camorra tratta, corrompe, media; ma poi spara».
E sceglie, non a caso, in questa fase, spesso l’autorappresentazione in politica, elegge direttamente propri uomini e proprie donne, delega molto meno al sistema politico; si riappropria della mala politica e di settori dello Stato. Anche il Cilento diventa “terra di Gomorra”. E se la politica locale si riduce ad un corpo a corpo drammatico fra gli amministratori onesti (lasciati soli dallo Stato e spesso avversati dal governo) e la nuova camorra economico-strutturale, saremo un Paese che avrà sempre più bisogno di eroi, che sfidano quotidianamente il martirio. Sui territori del sud, è, infatti, in corso una sfida fondamentale che è “nazionale” nel senso gramsciano del termine; resa più difficile dall’indirizzo leghista e secessionista del regime. Occorre un ritorno alla politica vera, costituzionale, che è l’unica nemica delle mafie, perché tenta di rilanciare coscienza e senso di massa, perché ricerca la contraddizione di fondo tra capitale e vita, che è, oggi, perno della nuova questione meridionale. Le mafie sono nelle istituzioni, nelle polizie, nell’economia, nel lavoro. Non lasciare soli gli amministratori come Angelo Vassallo signfica riprendere le battaglie di Angelo, sull’ambiente, sulla costa, sul mare, sui beni comuni; essi devono diventare le nostre battaglie, ricostruendo un popolo e una società. La borghesia mafiosa siede nei consigli di amministrazione, gestisce lo smaltimento dei rifiuti, si fa assegnare finanziamenti pubblici attraverso società criminali o prestanomi. E’ lì, allora, il campo dell’immpegno istituzionale e sociale. E’ parte del conflitto contro il capitale, nelle forme, nelle dimensioni che esso assume nei territori meridionali. Angelo Vassallo è uno di noi.
su Liberazione (08/09/2010)
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