lunedì 7 dicembre 2009

«Ora ci vuole unità, basta personalismi»

da Liberazione, 6 dicembre 2009, pag.4

di Rosy Marano

Toglietegli tutto, ma non la speranza. La speranza in una sinistra forte, unita, capace di contare e, soprattutto, di cambiare lo stato di cose presenti. Fiduciosi o scettici; critici o convinti, sono tutti lì a sentirsi dire che ce la possiamo fare; che la Federazione della sinistra è il primo passo; che non tutto è perduto.
Così appariva, ieri al Teatro Brancaccio di Roma, la platea arrivata da tutta Italia per la nascita della Federazione della sinistra. Giovani e giovanissimi accanto a cinquantenni e settantenni; storie e destini diversi, ma tutti pronti alla standing ovation per Massimo Rendina (comandante partigiano), a cantare Bella Ciao e ad alzare il pugno al grido di «Ora e sempre resistenza». A vederli, potresti quasi dire che la Federazione della sinistra c'è già: aspetta solo che qualcuno se ne accorga.
E' una platea numerosa (riempie il teatro oltre le aspettative) che ascolta attenta il dibattito; sottolinea sempre con applausi le parole "falce e martello" e "comunisti" e si lascia scappare anche qualche fischio (all'indirizzo degli esponenti del Pd presenti). E' silenziosa e partecipe mentre Barbara (Rsu della Omega) racconta dal palco l'incredibile storia dei call center Phonemedia/Agile, una moderna storia italiana da "prendi i soldi e scappa", con l'imprenditore nella parte del ladro e i lavoratori in quella dei "cornuti e mazziati", da mesi senza (il già magro) stipendio e nell'impossibilità di far fronte alle esigenze quotidiane: «Eppure siamo gente che lavora». La interrompono con gli applausi, lei ringrazia «i comunisti» (dice proprio così) che sono stati vicini alla loro lotta.
Il punto è che queste storie il pubblico del Brancaccio le conosce bene, o perché le ha vissute sulla propria pelle - «Lei (Barbara della Omega, ndr) sarà licenziata a 34 anni. E io che ne ho 47?», dice quasi tra sé un signore poco distante - o perché le combatte da una vita. E chiede che finalmente qualcuno se ne faccia carico. La Federazione? «Quando la proponevamo noi - dice un militante del Pdci di Milano - ricevevamo pernacchie. Ora è una necessità». «Qualcosa andava fatto - aggiunge Giovanni, del Prc di Sesto Calende, un signore sulla settantina che si definisce «cittadino del mondo» - Io mi fido, sperando che abbiano tutti imparato la lezione: il nostro difetto è il protagonismo, devono tutti scendere dal pulpito. Chi metto tra i colpevoli? Bertinotti». E' il tema su cui batte anche Andrej, trentino, specializzando a Roma in scienze della politica: «Nella Federazione ci vogliamo credere, ma poi veniamo qui e vediamo questo palco… Iscrivermi? Vorrei, capisco che è importante, ma tutti questi schematismi…».
Oliviero Diliberto, dal palco, sta dicendo che non ci si deve sentire «reduci» e che non si deve avere paura di chiamarsi «comunisti». Questo pubblico decisamente non sente il problema. «Io? Sono comunista - dice un barbuto compagno del Prc di Salerno - Peccato tutti questi distinguo». E anche lui sostiene che le «scissioni sono frutto di personalismi». «Mi limito ad osservare - si intromette Gianni da Napoli - che da quando i comunisti sono in declino, questo paese sta peggio». E Ruggero, da Ancona, pensa che «i comunisti dovrebbero fare un unico partito, Pdci e Prc divisi, che senso ha? Comunque ben venga la Federazione, se non è un modo per impedire l'unità dei comunisti. Sarebbe negativo».
Ma - come dice nel suo intervento Lothar Bisky (presidente del Gue) e come ripete, concludendo l'assemblea, Paolo Ferrero - l'unità si fa lasciando fuori ciò che divide e tenendo quello che unisce. Anche questo è un principio che la platea del Teatro Brancaccio sembra avere già nel suo Dna. Emanuele, della Fgci di Catania, è consapevole che «da soli, anche con un unico partito comunista, non avremmo la forza» e che se «partiamo da ciò che ci unisce ce la possiamo fare».
Stefano e Michele sono giovanissimi, 24 e 17 anni. Arrivano dalla Calabria, saliti con un «pullman di tutti ragazzi» apposta per partecipare alla nascita della Federazione (oltre che, ovviamente, al NoBday). «Fatta la Federazione - dicono - ora dobbiamo riempirla di contenuti. Chiamateci come volete, l'importante è che al centro della iniziativa politica ci sia il tema del conflitto tra capitale e lavoro. Per parte nostra siamo qui perché vogliamo portare i contenuti e le tematiche dei giovani». Anche Simona, una signora che viene dal Prc della provincia di Arezzo, avverte che «non è importante come ci chiamiamo, l'importante è che ci si occupi dei problemi della gente». Poi quasi sospira: «Troppe scissioni. Le regionali? Altrove forse no, ma da noi certamente si faranno accordi col Pd». E si vede che non ne è affatto contenta.
Tra il pubblico ci sono esponenti di Sinistra e Libertà e del Pd; c'è Piero Bernocchi dei Cobas, c'è il costituzionalista Gianni Ferrara. Arrivano i saluti di Oskar Lafontaine; anche dal Brasile giungono auguri di buon lavoro: l'Italia è pur sempre un laboratorio che interessa, la cui storia ha insegnato molto proprio a quella America Latina che oggi mette a frutto ciò che ha imparato. Bisky lo dice senza retorica: «In Europa ci mancano i compagni italiani».
Proprio Bisky è quello che usa le parole più dure contro Berlusconi, per il resto il Cavaliere è poco nominato: la platea non è "antiberlusconiana" alla maniera di Di Pietro, anche se tutti, poi, andranno in piazza. E non è un caso: la battaglia da fare non è contro "l'uomo" Berlusconi, ma contro le sue politiche. «Cosa faceva grande il Pci? Sapeva dare rappresentanza politica ai più deboli - dice Andrea (37 anni, di Latina) - Certo, c'è il tema della democrazia, del parlamento maltrattato, della Costituzione, dell'informazione. Per questo vado in piazza. Ma più di tutto è urgente dare risposte concrete alle persone, ai lavoratori, ai pensionati».
Lo ribadisce anche Ferrero dal palco, rivendicando la scelta di aver fissato l'assemblea della Federazione lo stesso giorno del NoBday: «Siamo stati i primi a capire l'importanza di una mobilitazione nata in modo diverso, dal basso, sui blog. Anziché aderire avremmo potuto fare anche noi come il Pd: farci la "nostra" manifestazione. Invece no: partecipiamo al NoBday; è la prova che sappiamo stare con gli altri, ma con la nostra identità».
Applausi, sventolio di bandiere (una bambina le vende all'ingresso del teatro) e poi si chiude con Bella Ciao, Bandiera Rossa e l'Internazionale. «E adesso? Concretamente?» chiede sempre un po' scettico Andrej. Viene da rispondergli: adesso tocca a te. Ma prima c'è il NoBday: sono le 14 e la manifestazione sta per cominciare.

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