Sarà un altro anno di ghigliottina per la scuola pubblica. Estinzioni predestinate delle classi nei borghi di montagna, con passaggio intermedio (a volte) attraverso la riesumazione di forme di insegnamento penalizzate e penalizzanti (a cominciare dalle pluriclassi), ma difese pur di non chiudere bottega. È la mattanza della scuola pubblica che, da progetto, si trasforma in aspra realtà. In Basilicata la «soluzione finale» passa con oltre un migliaio di «tagli». Si parla di 1047 posti di lavoro in meno nel solo anno scolastico 2009-2010: 727 per il personale docente, 270 per gli ausiliari Ata, 50 per gli insegnanti di sostegno.
Da un lato si eliminano posti di lavoro, si accresce il precariato, si mortifica ancor più il ruolo degli insegnanti; dall’altro, si depauperano ulteriormente i territori (in particolare quelli più deboli, di montagna, già a rischio spopolamento) privandoli di servizi essenziali. Così un pezzo d’Italia dovrà decidersi a dichiarare la rinuncia a esistere se non vorrà veder accrescere i divari, anche dal punto di vista dell’istruzione, per i propri ragazzi costretti a frequentare scuole «meno garantite». Ragazzi con diritti attenuati e opportunità ridotte, non in base a meriti e capacità, ma a causa del ceto sociale d’appartenenza, del luogo di nascita o di residenza.
La Regione, con un’iniziativa dell’assessore alla formazione, Antonio Autilio, ha illustrato ai sindacati il progetto di un accordo-quadro con il Ministero per «stabilire le procedure per la valutazione e il riconoscimento del servizio ai fini dell’attribuzione del punteggio nelle graduatorie ad esaurimento e per il trattamento economico del personale». Verrà costituita una Commissione e si definirà un programma di «rafforzamento e qualificazione dell’offerta formativa scolastica» ricorrendo a fondi europei e regionali per attività curriculari ed extra curriculari. È una prima risposta. Ma non basta. Col rischio concreto che il soccorso possa giungere a babbo morto.
Da un lato si eliminano posti di lavoro, si accresce il precariato, si mortifica ancor più il ruolo degli insegnanti; dall’altro, si depauperano ulteriormente i territori (in particolare quelli più deboli, di montagna, già a rischio spopolamento) privandoli di servizi essenziali. Così un pezzo d’Italia dovrà decidersi a dichiarare la rinuncia a esistere se non vorrà veder accrescere i divari, anche dal punto di vista dell’istruzione, per i propri ragazzi costretti a frequentare scuole «meno garantite». Ragazzi con diritti attenuati e opportunità ridotte, non in base a meriti e capacità, ma a causa del ceto sociale d’appartenenza, del luogo di nascita o di residenza.
La Regione, con un’iniziativa dell’assessore alla formazione, Antonio Autilio, ha illustrato ai sindacati il progetto di un accordo-quadro con il Ministero per «stabilire le procedure per la valutazione e il riconoscimento del servizio ai fini dell’attribuzione del punteggio nelle graduatorie ad esaurimento e per il trattamento economico del personale». Verrà costituita una Commissione e si definirà un programma di «rafforzamento e qualificazione dell’offerta formativa scolastica» ricorrendo a fondi europei e regionali per attività curriculari ed extra curriculari. È una prima risposta. Ma non basta. Col rischio concreto che il soccorso possa giungere a babbo morto.
(di MIMMO SAMMARTINO dalla Gazzetta del Mezzogiorno)
Invece di piangervi addosso per i licenziamenti cercate di spremervi le meningi e trovate nuove idee.
RispondiEliminain primo luogo ritornare e potenziare l'agricoltura,aiutare l'artigianato,i servizi,mancano le strutture per gli anziani,le vie di comunicazoni ed altro.
Ma i soldi delle royalty del petrolio DOVE SONO?
La trasparenza è la base per il futuro.la politica degli ottusi lucani deve finire ,le poltrone dei politici devono essere vacanti per il nuovo che offra lavoro ,lavoro.lavoro
Gioloc