Intervento di Simone Oggionni al Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista del 10 – 11 Aprile 2010
Dico onestamente che non sono del tutto soddisfatto di questa nostra discussione. Vedo che il nostro dibattito sconta un vizio significativo di politicismo. Siamo tutti concentrati a parlare di alleanze, di collocazione istituzionale, di assetti, di contenitori, di formule, di alchimie, mentre continuiamo a non affrontare di petto quelli che secondo me sono le cause fondamentali della nostra sconfitta: l’assenza di un’analisi di classe articolata della società italiana; l’assenza di un programma semplice e percepibile immediatamente non solo dai ceti medi ma anche dai lavoratori; l’assenza di un ancoraggio ideale, di un immaginario, l’idea di un orizzonte al quale guardare per uscire dalle secche delle nostre difficoltà.
Per questo è preliminare – è una richiesta che emerge nello scambio quotidiano che ho con il corpo della nostra organizzazione giovanile – discutere seriamente, qui ed ora, del carattere regressivo e rivoluzionario (non contingente) dello sfondamento delle destre nelle classi popolari (l’idea che suggerisco è che il meccanismo dell’alternanza sia saltato proprio nella modificazione profonda e difficilmente reversibile del senso comune delle classi subalterne); è preliminare discutere sui modi con cui reinsediare il partito nella società (costruiamo centri sociali, case dei diritti sociali, facciamo in modo che i circoli non siano più quello che spesso sono oggi: luoghi di discussione e di commento, spesso polemico, sulla linea politica nazionale) e nelle organizzazioni di massa (la Cgil, ma anche – aggiungo – l’Anpi, l’Arci, la rete dell’associazionismo diffuso e democratico).
Quindi: più analisi sociale e meno politicismo; il programma: definiamo chiaramente cosa vuole Rifondazione Comunista, per che cosa si batte, quale programma ha, che cosa la distingue dagli altri partiti sul terreno concreto della proposta politica (salario sociale di 1000 euro al mese, stop ai licenziamenti, abrogazione della legge 30, acqua pubblica, no alla riforma Gelmini), anche attraverso i referendum; e poi un immaginario, e in questo dobbiamo recuperare i chilometri perduti in questi anni (nel partito dal congresso di Venezia in poi e nel Paese reale dal governo Prodi, eventi dai quali – io li lego, Venezia e il governo Prodi – abbiamo iniziato a perdere “capacità di raccontare” il nostro orizzonte di alternativa e le nostre prospettive).
Queste sono le premesse indispensabili alla riflessione più ragionieristica sul voto, che pure va fatta e che io, in poche battute, affronto così: il 2,7% è un risultato negativo e a poco valgono i tentativi autoconsolatori di parlare di una sostanziale tenuta che nei fatti non c’è stata; il risultato non è omogeneo: andiamo drammaticamente male in Lombardia e Campania (cioè dove andiamo in splendida solitudine) e andiamo dignitosamente nelle Marche (dove siamo in coalizione con SEL) e in regioni come Liguria, Toscana, Umbria, Calabria (dove ci presentiamo in coalizione con il centrosinistra).
Questo dato a mio avviso non ci dice automaticamente che allora bisogna fare gli accordi ovunque (sarebbe una semplificazione e una banalizzazione che tra l’altro sposterebbe a destra l’asse politico del partito), ma ci dice che il nostro elettorato ci premia laddove percepisce una nostra utilità e laddove percepisce che noi lavoriamo per costruire una massa critica e per uscire dall’isolamento. Questo è il senso dell’offensiva unitaria a 360°: con le forze democratiche per cacciare Berlusconi e battere le destre e con SEL per costruire in Italia una sinistra a sinistra del Pd forte e in grado di tornare a contare e a pesare per i lavoratori e le classi subalterne. In questo quadro si colloca la nostra discussione sulla federazione. Guardate: è il punto che a me pare più scontato ma che paradossalmente diventa nella nostra discussione il più controverso.
Io la dico in questi termini: il processo di fondazione (non genericamente di costruzione) della federazione della sinistra va accelerato e portato a termine (e non soltanto iniziato) irreversibilmente. Cosa aspettiamo? Presi singolarmente non solo siamo senza peso elettorale, ma siamo senza alcuna capacità attrattiva nei confronti del campo largo della sinistra diffusa (alla quale insistentemente diciamo di volere parlare) e addirittura del nostro stesso popolo. Da questo punto di vista mi limito a rilevare – ma lo faccio senza alcuna venatura di polemica distruttiva – che in questo dibattito rischiamo di fare un passo indietro rispetto alla direzione nazionale. In settimana il segretario aveva parlato di ottobre come limite entro il quale fare il congresso, qui si torna a parlare di termini naturali, cioè fine 2010.
Tre mesi in politica sono molti. In questa condizione di difficoltà, troppi. E io non vorrei che alla fine prevalesse una tentazione attendista e un po’ fatalista (che le cose vadano come devono andare) che è l’esatto opposto di ciò di cui abbiamo bisogno: uno scatto d’orgoglio che ci consenta in tempi brevissimi di mettere il partito al servizio di un processo unitario realmente costituente.
SIMONE OGGIONNI
intervento al Comitato politico nazionale del PRC, 10 Aprile 2010
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