da Liberazione di domenica 25 aprile 2010
Tonino Bucci intervista Paolo Ferrero
Costruiamo insieme un campo di forze a sinistra, il bipolarismo deve saltare
Dopo le regionali Rifondazione comunista si guarda intorno. Nell'immediato c'è un campo di forze da ricostruire, un polo autonomo a sinistra del Pd in grado di sbloccare un sistema politico autoreferenziale, incardinato sul bipolarismo.
Le questioni alle quali risponde Paolo ferrero sono tante: il futuro della Federazione, i rapporti con S&l, l'emergenza denocratica in questo paese, un'opposizione sociale da rimettere in piedi.
La novità politica è la rottura tra Fini e Berlusconi, tra due visioni differenti della destra. Cosa facciamo noi, restiamo spettatori o azzardiamo un’analisi?
La divisione nel Pdl è vera. Da un lato, c’è una destra fascistoide, minacciosa verso la democrazia, che trasforma il disagio sociale in guerra tra i poveri. Dall’altra, una destra moderata, con connotati liberali che si muove in un quadro di rispetto della Costituzione. Fini assomiglia ai conservatori inglesi o alla Merkel, mentre un Borghezio va a fare le manifestazioni con i neonazisti.
Cosa ci dobbiamo augurare da questo conflitto?
Noi siamo interessati a che questo conflitto si allarghi. Per il bene della democrazia dobbiamo operare affinché la destra fascista si divida dalla destra moderata. Oggi in Italia, porsi l’obiettivo di dividere le destre e di salvaguardare la democrazia è tutt’uno con la rottura del bipolarismo. Finché ci sarà il maggioritario e questa schifosa Seconda repubblica, il populismo e il berlusconismo saranno sempre egemoni. Sarebbe da pazzi voler mantenere il bipolarismo - come pure ritiene parte del centrosinistra. Sono proprio questi i migliori alleati di Berlusconi. Anche quelli che urlano tantissimo contro Berlusconi ma vogliono mantenere il bipolarismo sono quelli che, in fondo, gli garantiscono di vincere.
Per quel che riguarda la crisi, però, non pare che la destra finiana o moderata abbia ricette diverse. O no?
Questa destra - Lega compresa - sta scaricando i costi della crisi sugli strati più deboli della società, sul mondo del lavoro ma anche sul popolo della partita iva e sugli artigiani. Per questo è bene che la destra si divida ma questo non risolve il problema. Dobbiamo costruire un’opposizione sociale sui temi sociali che impedisca al governo nella sua azione. E’ un punto decisivo. Quanto più destra e Confindustria distruggono i legami di solidarietà, perseguono politiche antisociali e alimentano la guerra tra poveri, tanto più le sue pulsioni populiste trovano una base di consenso. Da questo punto di vista, la destra moderata non può produrre alternative a Berlusconi. Noi siamo interessati che ci sia questa spaccatura tra destra finiana e destra berlusconiana. E che si rompa la gabbia del bipolarismo. Detto questo, anche la destra moderata è priva di risposte alla crisi. Non basta - come qualcuno pensa - appoggiare la destra moderata. Il “frontismo”, allargato all’inverosimile sino a Fini, non garantisce per nulla la sconfitta della destra fascistoide e berlusconiana. L’attacco sociale della destra, in assenza di contrasti, crea i presupposti del proprio consenso, allarga il bacino in cui pesca, aumenta la passività della società nei confronti della politica. La destra populista continua a macinare voti a prescindere dai pezzi di ceto politico che si staccano. Così sarà finché non si demistifica il carattere antisociale delle sue politiche. A cominciare dal nord in cui
I sette morti suicidi tra i piccoli imprenditori in Veneto la dicono lunga in una regione in cui
Qui ci sono due posizioni sbagliate in campo. La prima è che di fronte al pericolo per la democrazia sia necessario fare alleanze più larghe possibili, mettendo in subordine tutto il resto. L’altra, che per ridare fiato al conflitto sociale bisogna coltivare l’isolamento. Noi vogliamo costruire una terza via. Sul piano della difesa della democrazia farei l’alleanza anche col diavolo. Sull’altro piano, bisogna lavorare per costruire una vera opposizione sociale, foss’anche a partire da un singolo tema. Se il Pd, per esempio, ci stesse a fare una battaglia politica per la redistribuzione del reddito in questo paese, io lo considererei un fatto positivo. In questo quadro considero il referendum sull’acqua un punto importante di aggregazione. E’ una proposta radicale perché mette in discussione il principio secondo cui tutto andrebbe ridotto a merce. La difesa dell’acqua come bene pubblico è un problema materiale, certo, ma anche simbolico. E’ una battaglia anticapitalista. Allo stesso modo, nella difesa della dignità del lavoro, nella lotta contro la precarietà e per l’occupazione possiamo trovare convergenza con altri soggetti, col sindacalismo di base, con
Questo è quello che Tronti definisce un accumulo di forza, una massa critica in grado di durare e di incidere. C’è da fare una scelta strategica: o si costruisce un campo di forze autonomo dal Pd, in grado di stare sulle proprie gambe e di fare o non fare le alleanze, oppure si rifà l’Unione all’interno del bipolarismo con la certezza di poter sopravvivere. Qual è la strada?
Ce lo dobbiamo dire con chiarezza. La seconda strada preclude la possibilità di starci da comunisti. Quello che è accaduto alle regionali in Lombardia è emblematico. Le forze che sostengono il bipolarismo - come una parte del Pd - sono anche quelle che pongono la pregiudiziale anticomunista. L’impianto veltroniano è un impianto integralista, non pluralista. Veltroni preferisce perdere con Berlusconi, piuttosto che allearsi con i comunisti. Chi pensa di potersi ritagliare uno spazio nel bipolarismo è molto meno realista di quanto pensi. La strada percorribile è quella di un autonomo campo di forze di sinistra che cerca convergenze diversificate a seconda dei terreni: convergenze più larghe sulla questione democratica, minori sulle questioni sociali rispetto a cui le differenze pesano di più. Non ci sono alternative.
Il veltronismo si regge sull’autosufficienza e sul rifiuto di alleanze con i comunisti. Con Bersani è diverso?
Ci sono margini in più, lo si vede dall’appello odierno di Bersani che noi giudichiamo positivo. Il profilo del Pd rimane moderato ma non c’è più la presunzione dell’autosufficienza. Questo non significa che si possa rifare l’Unione come sembra a pensare Vendola. Sarebbe un errore madornale. Ripeto, un conto sono le alleanze per la difesa della democrazia che si possono fare anche con Casini, altra l’opposizione sociale. Se perdiamo questa bussola rischiamo di cadere o nell’isolamento - che a noi non porta nessun vantaggio, a differenza dei grillini - o nella subalternità e così i voti operai vanno a Bossi. Rischieremmo di rifare la fine del 2006. Abbiamo costruito un campo di forze, ci siamo spesi la credibilità all’interno del bipolarismo e siamo stati massacrati. Vendola continua a proporre questa strada, magari con qualche accento sociale in più, ma la sostanza non cambia. Siamo disponibili a sommare i voti con chiunque per battere Berlusconi, ma questo non vuol dire fare accordi di governo. Siamo nella più grande crisi dal ’29 a oggi. La prospettiva della rifondazione comunista ha oggi questo significato: individuare la strada dell’uscita dal capitalismo in crisi.
Qual è la linea della Federazione nei confronti di Sel: competizione o convergenza?
Sel è una nostra interlocutrice per la costruzione di questo campo di forze. So che è attraversata da un dibattito, se rifare la coscienza critica del centrosinistra o costruire un’alternativa.
Nel frattempo non è che
Assolutamente no.
Rifondazione ha un grave problema nella comunicazione. Ha solo un giornale. Nel suo piccolo “Liberazione” ha fatto un miracolo di risanamento aziendale dal quale persino Tremonti avrebbe da imparare qualcosa. Potrebbe diventare il giornale di un campo di forze più ampio. Però adesso c’è bisogno di fatti, di abbonamenti, di diffusione militante. Cosa è disposto davvero a metterci il partito?
Sono completamente d’accordo. Liberazione deve essere il giornale che lavora coscienziosamente e quotidianamente alla costruzione di questo campo di forze. Il punto non è la dipendenza burocratica del giornale dal partito, ma il ruolo attivo nel progetto politico. Il partito deve lavorare di più nella diffusione del giornale e della rivista. C’è una sinergia da costruire. Il partito si deve impegnare sul piano militante. Liberazione è il suo giornale, il suo progetto. C’è poi il problema complessivo della comunicazione e la riflessione su internet ancora da fare.
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