martedì 2 febbraio 2010

La politica sui tetti

di Roberta Fantozzi

Prendo a prestito, rovesciandolo, il titolo dell'editoriale di Loris Campetti di ieri sul Manifesto "Sinistra: la politica non sale sui tetti" per invitare a partecipare alla Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori di Rifondazione comunista che si svolge oggi e domani a Torino. Non è una polemica con Campetti che se la prende principalmente con il Pd e che non è obbligato a conoscere quello che sta facendo Rifondazione, partito oggi certo non al centro dei riflettori. Semmai è un invito pubblico ai nostri lavori. Lo prendo a prestito perché le cose che scrive rappresentano il senso di quello che stiamo cercando di fare e di cui la conferenza di Torino non è che una tappa. La «scelta di ricostruire un'iniziativa permanente sul lavoro e di fare del radicamento nei luoghi di lavoro un nodo fondante della nostra identità», come scriviamo nel documento che ha indetto la conferenza, è un obiettivo vero che, in mezzo a mille difficoltà, questo partito sta cercando di perseguire. Non ovunque con la stessa determinazione né la stessa capacità, con moltissimo lavoro da fare, per rompere separetezze e burocratismi, per rispondere alle tante inadeguatezze di cui siamo consapevoli, ma qualcosa sta succedendo, un cambiamento è in corso, una possibilità è aperta.

La conferenza di Torino diversamente da quanto è accaduto in altre circostanze, non è un appuntamento nazionale calato dall'alto. Pur nella coincidenza con la discussione sulle elezioni regionali, il bilancio è di oltre cinquanta conferenze provinciali e due conferenze regionali svolte. Non tutte riuscite allo stesso modo, ma molte in cui si sono viste cose nuove e positive. Moltissime in cui sono intervenuti lavoratori e lavoratrici non iscritti a Rifondazione, ma impegnati nelle lotte in corso riconoscendo un percorso compiuto assieme, il bisogno di costruire un campo di forze in cui la messa in comunicazione delle reciproche fragilità - quella dei lavoratori come la nostra - potesse ricostruire un'efficacia. Perché le nostre compagne e i nostri compagni nelle lotte stanno provando a starci, costruendo reti di solidarietà con le "arance metalmeccaniche", cercando di dare un contributo in ogni singola vertenza. Dare continuità a questo lavoro, indagarne criticità e limiti, sperimentare, correggersi non è un optional. E non soltanto per evitare che alle prossime elezioni vada in onda nuovamente il "tradimento" degli operai che votano a destra. Ma perché in assenza di questo non c'è per noi politica che tenga. L'oscuramento dei conflitti, la rimozione del lavoro dallo spazio pubblico non è un invenzione. Quantificata crudamente da un articolo di Ilvio Diamanti di qualche giorno fa la cancellazione dai grandi apparati mediatici delle condizioni di lavoro e dell'ansia sociale che la crisi genera. Né è un'invenzione la rimozione del lavoro dalla politica, dai dibattiti per il prossimo appuntamento elettorale, tutto giocato sullo schieramento più ampio da costruire, la sommatoria dei pezzi da mettere assieme, la rincorsa all'accordo con l'Udc come asse strategico del Pd, di per sé impedente di un bilancio vero degli esiti di un trentennio di politiche liberiste, quelle che hanno portato alla più grave crisi economica e sociale del dopoguerra. La Conferenza di Torino è per noi un passaggio di ricerca e al tempo stesso di iniziativa. Vogliamo capire di più delle lotte in corso di cui pure siamo parte: cosa si determina nella vita di tante lavoratrici e lavoratori, costretti dalla necessità a diventare improvvisamente protagonisti di lotte radicali, di percorsi acceleratissimi di presa di coscienza, dopo anni di solitudine e delega. Vogliamo capire come si possano mettere in connessione le lotte, concretamente, con quali percorsi individuare obiettivi generali che vengano vissuti come obiettivi decisivi anche oltre le singole vertenze, ricostruendo una narrazione e un progetto che sedimentino soggettività. Vogliamo discutere della crisi, le dinamiche distruttive che mette in campo ma soprattutto della costruzione di un progetto di alternativa capace di parlare a livello di massa, di rendere "desiderabile" una prospettiva di trasformazione e di come questo implichi la rimessa in discussione del rapporto tra vita e lavoro: produzione, riproduzione sociale, riproducibilità della natura. Discuteremo della nostra piattaforma per ricomporre il lavoro, e riconquistare diritti. Delle iniziative che stiamo preparando come Federazione della Sinistra a partire dai referendum contro la precarietà e la legge 30. Di salario diretto e indiretto, fisco e welfare. Di politiche industriali e intervento pubblico. Di come continuare nell'iniziativa contro l'accordo separato, a partire dal sostegno alla proposta di legge presentata dalla Fiom sulla democrazia sindacale. Di come contribuire alla riuscita dello sciopero generale della Cgil. Discuteremo di sindacato: il percorso positivo di ricomposizione messo in atto dai sindacati di base, il congresso della Cgil che ci preoccupa, per un clima che ci pare troppo aspro, in una discussione in cui vorremmo che le differenze e la presenza di più documenti fosse vissuta davvero come una possibilità di esercizio democratico, una risorsa e non un problema, per il dispiegarsi del dibattito. Abbiamo invitato ai nostri lavori interlocutori esterni, economisti, ambientalisti, femministe, perché pensiamo che la difficoltà del presente si affronta solo se si ricostruisce un circuito tra ricerca e pratiche sociali, rompendo le separatezze, ricostruendo in maniera permanente una sorta di nuova università popolare. Parleranno soprattutto le lavoratrici e i lavoratori, della Fiat, di Eutelia, di Alcoa, dell'Ispra dei tanti luoghi in cui sono aperti conflitti duri e difficili. In uno dei tanti racconti delle lotte che hanno segnato questi mesi, un lavoratore di una vertenza che non ha vinto ha detto «questa lotta mi ha cambiato la vita e quello che oggi ho non lo voglio perdere». Attrezzare il partito, il campo della sinistra di alternativa a questa sfida è la responsabilità, grande, che sentiamo. Perché la politica della sinistra oggi non può che stare sui tetti.

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