di Paolo Ferrero e Ciro Pesacane
Questi danni, nel frattempo, prodotti dalla società globalizzata e senza limiti ma non solo, stanno progressivamente risvegliando una serie di iniziative di ripresa delle trame dei movimenti sociali che dal basso, con le sole armi del libero esprimersi, della contestazione del potere e dell’opinione dominante, pretendono che sia ristabilita una verità ampiamente e silenziosamente conosciuta sul territorio ma pubblicamente segnalata da pochi. Per questo facciamo nostro l'appello “Riprendiamoci la vita, vogliamo una Calabria pulita!“ che è anche il filo conduttore di un rinnovato attivismo messo in piedi da associazioni e comitati per ribadire la necessità non “di rassicurazioni ma di verità provate e dimostrate”.
Ed è un elenco impressionante quello denunciato fatto di nefandezze e di ferite inferte alla terra, al mare ed alla gente di Calabria: dall'inquinamento dovuto all'interramento di rifiuti radioattivi, alle navi affondate con tutto il loro carico di veleni (quasi certamente scorie tossiche e nucleari); dall'utilizzo di materiale tossico nella costruzione di edifici pubblici e privati, alle fabbriche dei veleni e di morte per centinaia di lavoratori. Amantea, Cetraro, Crotone e Praia a Mare sono i primi nomi di località “bruciate” e indelebilmente segnate che potranno essere riabilitate solo se, di fronte a questi disastri ecologici accertati, il governo nazionale, che finora non si è mosso per come avrebbe dovuto fare con atti straordinari ed urgenti, stanzierà i fondi necessari ed avvierà tutte le azioni utili per avviare le bonifiche.
Ma, su questo, occorre sottolineare un fatto. Il governo sta chiaramente ostacolando la possibilità di fare piena luce sull’affondamento delle navi cariche di veleni nel Tirreno perché dal carico di queste navi emergerebbe una sola verità: che la malavita organizzata ha operato per conto delle grandi industrie del nord e dello stato uno “smaltimento irregolare” di residui di lavorazione e forse di scorie nucleari. Nell’utilizzo del territorio e del mare calabrese come se fosse una discarica si evince quell’intreccio tra borghesia, mafia e stato che caratterizza il blocco dominante di questo paese.
D'altronde, nella dissoluzione delle comunità meridionali, è cresciuta ed è emersa con forza una classe politica non solo indifferente ed insipiente ma protagonista ed artefice della dissoluzione del sud: quella che alcuni hanno giustamente definito la cricca, una forma di casta meridionale, un ceto politico che scientemente, pur di perseguire i suo scopi negletti, ha concorso e concorre, in collusione con industriali, speculatori di ogni risma e con mafiosi (come le indagini della magistratura dicono sia successo sul Tirreno cosentino), alla devastazione dei territori ed alla distruzione ed avvelenamento delle coste e dell'ambiente, uccidendo persino la speranza delle nuove generazioni. Una vera e propria forma di sciacallaggio. Non si può pensare in altro modo a quanti, nella crisi che attanaglia il sud colpito da una forte ripresa del fenomeno migratorio, pur di mantenere il potere e raccattare voti e consensi, hanno utilizzato ed utilizzano di tutto e di più: promesse ed estorsioni per il lavoro, intrallazzi vari, clientele secondo la logica del “ne sistemi uno per ricattarne mille”, e fondi, soldi, tanti soldi pubblici per gli amici e compari “prenditori” e sostenitori.
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