di Stefano Zucconi
C'era il velo affettuoso della notte, non velette nere di madri e di vedove, per il ritorno a casa del sergente dell'Indiana Dale Griffin dentro la bara bianca d'ordinanza. C'era a riceverlo il primo Presidente degli Stati Uniti che finalmente avesse trovato il coraggio vedere con i propri occhi i risultati delle guerre dove lui stesso manda i figli degli altri a morire.
Per 18 anni, da quel 1991 che aveva terrorizzato le autorità americane e il governo di George Bush il Vecchio al pensiero della possibile processione di caduti dal Golfo, la base aerea di Dover, nelle piane alluvionali del fiume Delaware sull'Atlantico, dove tutti i morti d'oltremare sono riportati, era rimasta chiusa ai non addetti allo scarico delle bare. Vietata ai fotografi, alle telecamere e anche ai parenti. Per rispetto, per risparmiare a quei morti e alle loro famiglie, il "media circus", era stato spiegato, ma in realtà per evitare alla nazione di vedere che cosa c'è sempre all'altro capo della retorica e delle marcette, delle guerre giuste o ingiuste, combattute per necessità o per scelta che siano. Bare.
Obama ha avuto il coraggio di spezzare questa ipocrisia del pudore propagandistico. In queste ore sta decidendo se mandare altri come il sergente Dale Griffin dell'Indiana, campione di lotta libera nel liceo di Terre Haute saltato su una mina in Afghanistan, a contendersi l'onore di tornare a casa coperto dalle bandiere sudario e ha voluto fare almeno il gesto di uscire dalla bolla del potere washingtoniano, dei consiglieri, della strategia, per vedere di persona. Per provare che cosa significhi vedere un enorme aereo militare da trasporto C5 scaricare dai suoi rulli 18 bare che quattro giorni prima erano uomini.
Era molto diverso il Barack Obama che le telecamere hanno ripreso sull'attenti, accanto agli ufficiali e ai soldati in tuta mimetica da fatica, che lo affiancavano ai piedi dello scivolo del C5 carico di casse da morto atterrato sulla pista di Dover. Nella crudezza dei faretti portatili, senza filtri "soft" da studio e senza cerone, contro il fondale della notte, era più pallido lui, l'afro, delle facce bianche che lo circondavano, le rughe del volto scavate dal troppo contrasto fra i flash e il buio, la giacca e i calzoni sbattacchiati dal vento del maltempo che agitava tutta la costa Atlantica. Anche il suo saluto militare, fatto da un presidente che non ha mai indossato un'uniforme e che, come i suoi ultimi predecessori Bush il Giovane e Clinton, non ha mai visto una guerra da vicino, era persino troppo perfetto e tagliente, come di chi abbia timore di sbagliarlo. Sembrava, lui che pure è alto e atletico, minuto tra quei militari irrobustiti dalle tute mimetiche, rimpicciolito dalle dimensioni dell'enorme aereo e dal fisico dei sei portatori della pesantissima bara di acciaio saldato e laccato bianco a chiusura ermetica e guarnizioni di gomma, costo all'ingrosso per il Pentagono dollari 949.
Era stato proprio Obama ad annullare il black-out, l'oscuramento imposto da George Bush Primo nel 1991 nel timore di scuotere l'opinione pubblica e di incrinare il fronte interno di fronte alla processione di bare dal Golfo. Lo avevano mantenuto Clinton, che i suoi morti, soprattutto in Somalia, aveva prodotto e George il Piccolo, che temeva di alimentare l'ostilità crescente alle guerra in Iraq e Afghanistan. Ma nessuno di loro, neppure Bush padre che pure la guerra aveva visto e combattuto come pilota di marina nel Pacifico, era mai salito da Washington sceso a quella base di Dover, mezz'ora di volo per l'Air Force One, che ha l'esclusivo e tristissimo onore di essere il primo approdo dei caduti. Il luogo dove avviene, secondo la formula ufficiale, "la dignitosa cerimonia" del trasferimento dei morti ai furgoni e poi ad altri aerei commerciali che li trasporteranno dove le famiglie li vogliono seppellire.
Il sergente dell'Esercito Griffin era stato salutato alla partenza per l'Afghanistan da un'edizione speciale del giornale della sua cittadina, il Terre Haute Daily Journal, perché era un piccolo eroe locale, campione di lotta libera nello stato dell'Indiana a 16 anni, figlio di una coppia religiosissima di Avventisti del Settimo Giorno, bel ragazzo che aveva preferito l'uniforme alle aule di un'università che non poteva permettersi. Sono stati i genitori a concedere il permesso a che la sua bara fosse quella scelta dai comandi e dal Presidente per la cerimonia che finalmente ha squarciato il buio di quell'ipocrisia e che Obama ha preteso per capire, e per far vedere, di essere costretto anche lui a essere un presidente che ha ereditato due guerre. Ma almeno con il rimpianto di doverlo essere. Quella di Griffin è stata la cinque millesima bara scaricata dai C5 Galaxy della Lockheed a Dover. Ne sono state necessarie 4.999 perché un presidente andasse a onorarne una.
fonte: http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/esteri/obama-presidenza-11/omaggio-vittime/omaggio-vittime.html
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