venerdì 18 settembre 2009

Afghanistan, un fallimento lungo otto anni


Gianni Cipriani
Roma

ll paradosso del pasticcio afghano è racchiuso in un recentissimo rapporto appena pubblicato dall’Ufficio droghe e crimine delle Nazioni Unite: l’anno scorso la produzione di oppio è calata del 10%. Bene, si dirà. E invece no: male. Anzi malissimo perché il calo non è stato un successo ottenuto dalla forze internazionali o dal governo “democratico”, ma una necessità imposta dai signori della droga per tenere alto il prezzo dello stupefacente. Come mai? Perché nell’Afghanistan “liberato” dai talebani le cose vanno male ma così male che è stato prodotto e venduto molto più oppio di quanto il mercato internazionale potesse smerciarne, con conseguente crollo dei prezzi. Segno inequivocabile del fallimento delle politiche internazionali che hanno riguardato Kabul. Il prossimo ottobre saranno passati 8 anni dall’ intervento militare e dalla liberazione (o occupazione) dell’Afghanistan. In questi 8 anni tutti hanno spiegato la necessità di quell’intervento con il bisogno di democrazia, la lotta al terrorismo, la lotta al traffico di droga, la pace e il rispetto dei diritti umani. Ma cosa di questi obiettivi è stato raggiunto in un tempo che supera di tre anni la durata della seconda guerra mondiale? Niente.O poco. La retorica sulle missioni di pace, sulla lotta agli oscurantisti che imponevano il burka e quant’altro hanno a lungo oscurato l’assenza di qualsiasi strategia concreta. Ma i nodi vengono al pettine. I produttori di droga, protetti ora dai talebani ora dai signori della guerra (talora alleati delle forze internazionali) fanno affari come e più di prima. La popolazione civile muore quotidianamente in attentati e bombardamenti e odia talmente tanto i “liberatori”, da rimpiangere, se non sostenere i talebani. Quanto poi a democrazia, dopo 8 anni se ne vede solo una parvenza, mentre gli osservatori dell’Ue accusano il presidente Karzai di brogli, al cui confronto quello recentemente accaduto in Iran sembra una barzelletta. Quanto ai burka, al rispetto dei diritti umani i passi in avanti sono stati davvero limitati e forse non hanno superato i confini della città di Kabul. Di fronte a questo scenario, che troppo spesso viene taciuto, è del tutto evidente che i nostri militari sono sempre più a rischio. È sbagliato parlare di terrorismo, quando ci sono migliaia di armati sostenuti da gran parte della popolazione. È una guerra – la guerra asimmetrica –combattuta tra forze irregolari e guerriglieri che mordono e fuggono. Anche questo sarebbe bene dirlo con chiarezza. E domandarci, seriamente cosa si può fare per l’Afghanistan, riconoscendo il fallimento di questi lunghissimi 8 anni che hanno prodotto guerra e morte, niente
pace e solo un briciolo di democrazia.


(DNews)

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