venerdì 11 novembre 2011

Le carte del diavolo sono sempre truccate



Dino Greco
L'ipotesi che in queste ore la maggioranza dei commentatori, di destra e di centrosinistra, accreditano come la più probabile è che dopo l'approvazione della legge di stabilità, invocata a furor di casta e le successive dimissioni di Berlusconi, se Napolitano non troverà le condizioni per un governo "tecnico" o di "solidarietà nazionale", toccherà alle elezioni dipanare la matassa.
Sarà bene una volta per tutte chiarire che il governo "tecnico" è solo una formula letteraria, intrinsecamente truffaldina, che millanta una neutrale oggettività delle misure che si vogliono adottare, come se la Bce fosse un prodotto dell'Accademia delle scienze e le sue ricette equiparabili ad un postulato della fisica. In realtà, non esistono, non sono mai esistiti e non esisteranno mai governi tecnici. Tutti i governi sono politici. Più di tutti quelli che dissimulano i propri intendimenti attraverso il travestimento tecnocratico.
In ogni caso, non è affatto scontato che le cose vadano davvero a finire come i più immaginano. Vediamo perché.


L'approvazione della legge di stabilità, riassunta nel maxi-emendamento che andrà in porto senza reale contrasto, non sarà tuttavia un passaggio tranquillo, né indolore. Pare ormai chiaro che sotto la regia del Presidente della Repubblica l'opposizione lo voterà o lo lascerà in ogni caso passare senza colpo ferire (il che fa lo stesso) con tutto il drammatico peso imposto dalla Ue, la quale negli ultimi giorni ha calato sul piatto della bilancia lo spadone di Brenno, un pacchetto di misure, declinate in 39 punti: un impasto dal terrificante impatto sociale (dalle pensioni, alla sanità, alle privatizzazioni, al mercato del lavoro). Questa eredità, questo vero e proprio patto faustiano, si stringerà come un nodo scorsoio al collo di qualunque forza governerà il Paese. Ma a quel punto, con un consenso così ampio ottenuto in parlamento, col beneplacito delle stesse forze di opposizione, con la propria compagine rinfrancata e ricompattata, non è detto che il caimano, avvezzo ad ogni trucco e ad ogni spregiudicatezza politica, non rivendichi a buon titolo il diritto di guidare, se non direttamente almeno per interposto Alfano, un governo che gestisca le elezioni, oppure - siamo davvero certi sia un'ipotesi peregrina? - che addirittura accompagni la legislatura alla sua naturale scadenza. Magari corroborato da un'Udc pronta a guadare più rapidamente di quanto non si pensi il torrentello che la separa dalla stanza dei bottoni.
Nell'un caso e nell'altro, chi rischia di pagare il prezzo politicamente più alto - posto che quello sociale è tutto a carico dei cittadini, ostaggio di una spoliazione senza precedenti - è il Pd. Chi sabato scorso in piazza San Giovanni respirava aria di battaglia potrebbe nei prossimi giorni masticare molto amaro.
La sola seria chanche per chi voglia sottrarre il Paese alla tenaglia rappresentata dalle due ganasce del populismo di destra e del dogma liberista, sarebbe smarcarsi nettamente. Per costruire una proposta, un progetto di fuoriuscita dalla crisi affrancati dal decalogo monetarista. Un'alleanza fra centrosinistra e sinistra con cui andare immediatamente alle elezioni e provare a dimostrare che il futuro di noi tutti non è già scritto nel catechismo della Bce.

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