mercoledì 16 novembre 2011

Opposizione al governo Monti per costruire la sinistra di alternativa


prc
1) La caduta del governo Berlusconi è un fatto molto positivo che segna un passaggio assai rilevante nella vicenda del nostro paese. La crisi della destra è precipitata nell'incapacità a fare fronte efficacemente alla speculazione finanziaria ma è maturata nel corso di questi anni nell'impossibilità – all'interno della crisi – di garantire la mediazione tra interessi diversi all'interno delle classi dominanti e di mantenere un largo consenso di massa. Ci troviamo di fronte al fallimento dell'ipotesi politica che ha maggiormente caratterizzato la Seconda Repubblica.
2) Per sancire la fine del governo Berlusconi avevamo chiesto, prima delle consultazioni del Presidente della Repubblica, e continueremo a chiedere fino al voto di fiducia, l'immediata convocazione delle elezioni politiche anticipate e di affrontarle attraverso la costruzione di un fronte democratico tra le forze di sinistra e di centro sinistra. Questa proposta avrebbe permesso e permetterebbe ancora di sconfiggere le destre attraverso l'esercizio democratico dell'espressione della volontà popolare e di determinare il quadro politico migliore sia per quanto riguarda la difesa e lo sviluppo della democrazia che per quanto riguarda le scelte di politica economica, scongiurando la sciagurata ipotesi del governo Monti.
3) Il Presidente della Repubblica sta operando per sostituire al governo Berlusconi un governo Monti. La motivazione, utilizzata ai limiti della correttezza democratica, è data dall'emergenza prodotta dalla speculazione finanziaria. Il tentativo evidente è quello di neutralizzare gli effetti del fallimento del governo Berlusconi, evitando qualsiasi spostamento a sinistra dell'asse del governo in merito alle politiche economiche. Si tratta di una sorta di commissariamento dell'Italia da parte della BCE, uno dei frutti del vero e proprio colpo di stato monetario che stiamo subendo. Si tratta di una scelta sciagurata, condotta con il coinvolgimento pieno del PD, destinata a produrre effetti negativi sul piano democratico, su quello sociale come su quello politico. Sul piano democratico, perché, dopo l'imputridimento della quadro politico determinato da Berlusconi, per rigenerare la democrazia è necessario ridare la parola al popolo. Al contrario con la scelta del governo Monti, cioè di un governo iperliberista mascherato da governo tecnico, il popolo viene declassato a spettatore passivo delle scelte delle elites. Sul piano sociale, perché il programma di Monti sarà centrato sull'applicazione delle nefaste direttive europee e peggiore di quanto avrebbe fatto un governo di centro sinistra frutto di libere elezioni. Sul piano politico perché il governo Monti permetterà alle destre di rigenerarsi in vista delle prossime elezioni e di porre le condizioni per una chiusura più stringente del bipolarismo.
4) Se il governo Monti dovesse avere la fiducia del Parlamento, Rifondazione Comunista ritiene necessario costruire la più ampia opposizione - da sinistra - al governo medesimo. Contro ogni ipotesi di patto sociale, occorre costruire una opposizione che sappia unire le rivendicazioni specifiche con la richiesta di una modifica generale delle politiche economiche europee, in direzione di una uscita a sinistra dalla crisi. La costruzione della Costituente dei beni comuni, la qualificazione programmatica, con l'attivazione delle energie intellettuali disponibili e l'attivazione di concreti percorsi di lotta, sono gli elementi che devono caratterizzare questa prospettiva sia a livello nazionale che a livello locale. Rifondazione Comunista, sostiene la manifestazione dei movimenti per l'acqua pubblica del 26 novembre, lo sciopero generale indetto dai sindacati di base per il 2 dicembre, la manifestazione nazionale indetta dalla CGIL per il 3 dicembre.
5) Parimenti l'eventuale nascita del governo Monti pone con ancora maggiore urgenza il tema della aggregazione della sinistra di alternativa che abbiamo messo al centro della proposta politica del documento congressuale. Per questo, nell'immediato, come partito e come Federazione della Sinistra, proponiamo alle altre forze politiche che si oppongono a Monti di costruire un patto di consultazione permanente al fine di rendere più efficace la battaglia di opposizione. Riteniamo però necessario fare un salto di qualità in questa direzione e operare affinché l'opposizione all'eventuale governo Monti diventi opposizione costituente della sinistra di alternativa. Il governo Monti, in quanto tentativo di stabilizzazione moderata di gestione della crisi, costituisce infatti il punto di discrimine per una sinistra che si ponga l'obiettivo dell'alternativa. Mai come in questo momento risulta evidente la distanza strategica tra le due sinistre e la necessità di aggregare, in forma stabile, la sinistra di alternativa che si pone l'obiettivo di sconfiggere le politiche neoliberiste.
6) La crisi del governo Berlusconi ci consegna la possibilità e la necessità di operare, a livello di massa, per il passaggio dall'antiberlusconismo all'antiliberismo. In questi anni, le caratteristiche specifiche del berlusconismo hanno condizionato fortemente le culture politiche dell'opposizione. Nell'antiberlusconismo convivono varie culture politiche e varie ipotesi politiche. Nel momento della crisi di Berlusconi, le classi dirigenti hanno utilizzato strumentale l'antiberlusconismo al fine di legittimare il neoliberismo austero di Monti. Questo significa che oggi si apre una lotta per l'egemonia nell'antiberlusconismo. I poteri forti lo vogliono sviluppare nel senso liberale e liberista, noi dobbiamo fare una battaglia per svilupparlo in senso antiliberista e socialista. Dobbiamo cioè agire consapevolmente affinché il senso di delusione che verrà prodotto dalle politiche economiche e sociali dell'eventuale governo Monti su larghi strati popolari antiberlusconiani, non diventi ripiegamento e non produca ulteriore disgregazione sociale. La capacità di costruire un percorso in cui si passi dall'antiberlusconismo generico ad una più chiara coscienza anticapitalista è un nostro preciso compito politico.
7) In questo quadro, ribadendo la nostra lotta strategica contro il bipolarismo, vogliamo costruire un partito che sappia vivere, discutere e svilupparsi senza essere deformato da una centralità assorbente del piano istituzionale. Non perché questo non abbia una grande rilevanza politica – al contrario – ma perché se il bipolarismo costituisce una condizione istituzionale funzionale alla distruzione delle forze politiche antisistema, noi dobbiamo conquistare un grado di autonomia strategica dal bipolarismo che ci permetta di fare politica senza esserne fagocitati. Occorre quindi costruire consapevolmente un Partito della Rifondazione Comunista che non abbia nella discussione sui passaggi istituzionali il centro della sua vita politica.
Si tratta di superare definitivamente l'idea che la sconfitta del berlusconismo e la costruzione dell'alternativa possa avvenire attraverso un percorso di delega al quadro istituzionale. Non è così. Il nostro progetto politico di fase di costruzione della sinistra di alternativa al fine di determinare le condizioni per uscire a sinistra dalla crisi, implica l'attivazione dei soggetti in carne ed ossa, implica la costruzione di una soggettività di massa non basata sul principio di delega. Il compito del partito è quindi quello di mettere in pratica la linea politica avendo chiara la centralità del lavoro sociale, culturale e di aggregazione politica, al fine di favorire la costruzione di un protagonismo di massa. Il compito del partito, a fronte del carattere tecnocratico, oligarchico, antidemocratico della risposta delle elitè dominanti alla crisi, della cesura crescente tra capitalismo e democrazia, è quello di adoperarsi nel nostro paese e a livello europeo, per lo sviluppo del movimento antiliberista.
Roma, 15/11/2011
La Direzione Nazionale Del Partito della Rifondazione Comunista
(approvato a larga maggioranza)

venerdì 11 novembre 2011

Primarie ma di programma e poi subito alle urne. Per uscire a sinistra dalla crisi. Intervista a Paolo Ferrero.



Di Checchino Antonini

"Il governo se ne andrà e per questo stasera brindiamo", esordisce Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista mentre i tg di prima serata danno conto di quanto avvenuto al Colle - l'ostinazione di Berlusconi ha demolito la credibilità non solo del governo ma più complessivamente della politica, della stessa democrazia. Sembra di assistere ad una Weimar al rallentatore, c'è una crisi palese del regime, della seconda repubblica.

C'è anche un recentissimo sondaggio che conforta questa osservazione: due terzi degli intervistati ritiene che, per uscire dalla crisi economica la prima misura sia abbattere i costi della politica, solo un terzo crede che sia più utile una patrimoniale.

L'antipolitica - intesa come sfiducia radicale nella politica - ha ormai una dimensione di massa. In realtà noi abbiamo dinnanzi due ipotesi, che si alimentano a vicenda, di uscita a destra dalla crisi del governo e della democrazia. Da un lato il governo tecnico che sarebbe un governo tecnocratico, cioè il governo della Bce e non del popolo italiano. Pensa alla Grecia che non ha nemmeno potuto decidere di fare un referendum sulle sue politiche. Dall'altra l'ipotesi populista che ancora non ha dato il peggio di sè. Pensa se Berlusconi potesse uscire da questa situazione gridando al ribaltone. E pensa alla Lega che, finora, è rimasta imbrigliata nel governo e ha dovuto stare al gioco. Se l'esito dovesse essere il governo tecnico la Lega già ha detto che ne resterà fuori, possiamo immaginarci che tipo di campagna di nazionalismo secessionista e razzista potrebbe fare. Esiste il rischio di un'uscita ancora più a destra dalla crisi.

E' addirittura un passo indietro rispetto al quadro angusto dato dal bipolarismo?

Infatti, la dialettica rischia di essere tra tecnocrati e populismo di destra. Per questo siamo contrarissimi ad un governo tecnico e proponiamo la via maestra delle elezioni. Di fronte ad una crisi politica occorre ridare la parola al popolo.

L'obiezione più gettonata è che questo sistema elettorale è improponibile.

Nessuna controindicazione, compreso il voto con il Porcellum è maggiore della controindicazione della ricostruzione di un governo di destra o del governo tecnocratico guidato da Monti o similari con il corollario di una opposizione razzista allo stesso. Occorre andare a votare il prima possibile per uscire dalla palude.

Viene molto utilizzata la suggestione della transizione di vent'anni fa tra prima e seconda repubblica. Si fa perfino il nome di Amato.

Beh, quella transizione è stata un disastro di cui ancora paghiamo le conseguenze e a cui Rifondazione comunista si è opposta con tutte le sue forze. Oggi sarebbe anche peggio perchè la crisi macina molto di più e perchè la crisi delle istituzioni è assai maggiore.

E come affrontare le urne in queste condizioni?

Noi proponiamo un fronte democratico per battere le destre che veda l'alleanza della sinistra con il centrosinistra, senza i centristi. Pur non vedendo le condizioni per governare insieme al Pd, siamo interessati alla maggiore discontinuità possibile sia sul piano democratico che sociale. Nella realtà e nella percezione della nostra gente c'è la necessità di cacciare Berlusconi. Visto che il sistema elettorale è maggioritario noi dobbiamo stare in sintonia con questa necessità e questo sentimento e contribuire alla cacciata di Berlusconi. Parallelamente poniamo al centrosinistra il tema della democrazia e della partecipazione: per questo proponiamo le primarie di programma, per far decidere al popolo dell'opposizione non solo chi dovrà governare ma per fare cosa. Al rischio di uscita a destra dalla crisi - nelle sue varianti tecnocratiche e populiste - noi dobbiamo proporre una uscita da sinistra. Nel popolo del centrosinistra non la pensano tutti come Renzi: dobbiamo costruire una sponda politica per quei contenuti e attivare delle forme di partecipazione diffusa.

Ma così come si declina un'altra necessità, quella dell'autonomia politica della sinistra dal quadro dato?

Allargando la sfera della democrazia. Ho detto delle primarie di programma. Dobbiamo costruire un referendum sui vincoli europei, anche in forma autogestita. Così come stiamo predisponendo con altre forze una campagna referendaria su cui raccogliere le firme a partire da gennaio. Esiste già un fronte ampio contro l'articolo 8. Stiamo discutendo anche sulla legge 30 e su quesiti che consentano di ripristinare il proporzionale. Se raccogliamo le firme a gennaio si voterebbe qui referendum un anno dopo le elezioni e questo sarebbe un modo assai efficace per intervenire dentro la politica da parte della società.

Quindi con le elezioni determinare il quadro politico migliore possibile e poi nella società cambiare i rapporti di forza?

E' chiaro che cacciare Berlusconi non risolverà il problema dell'alternativa, dunque le primarie, i referendum, l'azione dei movimenti determinerebbero la possibilità di interagire col quadro politico con una forza esterna. La dialettica parlamentare non può esaurire la ricerca della costruzione dell'alternativa, perciò dobbiamo costruire la forza nella società. Ma c'è anche una ragione di fondo nella ricerca di forme di democrazia diretta: dentro questa crisi economica c'è la crisi della democrazia rappresentativa. Nel neoliberismo, attraverso le politiche fatte dagli stati c'è stato un passaggio di poteri dagli stati alla finanza, dai parlamenti ai governi e da questi al direttorio Bce/Germania.

Anche da questo si percepisce come gli spazi per la politica siano strettissimi.

La politica, applicando politiche neoliberiste, ha scelto di non contare lasciando fare ai potentati economici. Da un lato c'è una crisi fortissima di legittimità, dall'altro, però, c'è una fortissima domanda di democrazia spesso deviata dai mass media in termini "anti-casta". Noi invece dobbiamo saper riconoscere la domanda sociale come domanda di potere: in Molise, alle recenti regionali ha votato meno gente che ai referendum di giugno che hanno incarnato questa domanda sociale di partecipazione. Della stessa cosa ci parlano le esperienze della Val di Susa, della Fiom, del 15 ottobre che, al di là di tutto è stata in Italia la più grande piazza di quel giorno. Ma tutto ciò non ha uno sbocco politico. Che siano su Vendola, o sulla variante più di destra Renzi, le primarie sono una sussunzione di quella voglia di partecipazione dentro un meccanismo di iperdelega al leader carismatico. Dalla delega al partito alla delega al leader. Pensa che solo la Fds e il Pd non hanno il nome del capo sul simbolo elettorale. Le primarie di programma sono utili a individuare dei nodi - no alla guerra e alle spese militari, no alla precarietà, sì ai beni comuni e alle ripubblicizzazioni - da indicare al centrosinistra perchè si scelga non solo chi ma che cosa fare.

Ma come è possibile ricostruire spazi di democrazia partecipata ed efficace? Esiste il problema di "un nuovo che non nasce"?.

I problemi sono tanti, occorre lavorarci in direzione della socializzazione della democrazia. Oggi i referendum non hanno più la sola valenza di fotografare lo scarto tra paese reale e paese formale. Oggi possono avere una valenza costituente di soggettività. Per questo seguiamo l'esperienza dei movimenti per l'acqua (parteciperemo alla manifestazione nazionale del 26) e stiamo dentro a tutte le sperimentazioni di costruzione della soggettività della società civile con interessi antagonisti alla grande finanza. Ma per questo serve che si trovino forme persistenti di autorganizzazione, di contropotere dal basso. Penso che in tutta Italia si debba agire come si agisce in Val di Susa. E poi la politica va riconnessa al fare. Ecco perchè siamo l'unico partito a spalare fango a Genova, l'unico a intervenire nel terremoto, a fare i Gap. Le condizioni per l'alternativa nascono nella densità sociale che si contribuisce a ricostruire.

Ma chi potrebbero essere gli interlocutori di questa ricerca?

Coloro che hanno fatto l'opposizione sociale in questi anni. A differenza di altre fasi storiche, l'elemento democratico è costituente. Nella sua crisi, il capitalismo cerca di restringere la partecipazione per restituire, come nell'Ottocento, il potere ai padroni e ai banchieri riducendo il conflitto sociale a problema di ordine pubblico. Noi, al contrario, dobbiamo favorire l'irruzione delle masse nello spazio pubblico. Noi vogliamo aggregare la sinistra di alternativa a partire dalla ricostruzione della soggettività, la sinistra che opera per rompere il senso di impotenza, che "aiuta" - come diceva Vittorio Foa - la gente a governarsi da sé. Per tutto questo la sinistra d'alternativa deve essere in grado di non subire, di non farsi sovradeterminare, dal falso movimento del bipolarismo che ci vorrebbe o marginali o allineati.

Da Liberazione 09/11/2011

Le carte del diavolo sono sempre truccate



Dino Greco
L'ipotesi che in queste ore la maggioranza dei commentatori, di destra e di centrosinistra, accreditano come la più probabile è che dopo l'approvazione della legge di stabilità, invocata a furor di casta e le successive dimissioni di Berlusconi, se Napolitano non troverà le condizioni per un governo "tecnico" o di "solidarietà nazionale", toccherà alle elezioni dipanare la matassa.
Sarà bene una volta per tutte chiarire che il governo "tecnico" è solo una formula letteraria, intrinsecamente truffaldina, che millanta una neutrale oggettività delle misure che si vogliono adottare, come se la Bce fosse un prodotto dell'Accademia delle scienze e le sue ricette equiparabili ad un postulato della fisica. In realtà, non esistono, non sono mai esistiti e non esisteranno mai governi tecnici. Tutti i governi sono politici. Più di tutti quelli che dissimulano i propri intendimenti attraverso il travestimento tecnocratico.
In ogni caso, non è affatto scontato che le cose vadano davvero a finire come i più immaginano. Vediamo perché.


L'approvazione della legge di stabilità, riassunta nel maxi-emendamento che andrà in porto senza reale contrasto, non sarà tuttavia un passaggio tranquillo, né indolore. Pare ormai chiaro che sotto la regia del Presidente della Repubblica l'opposizione lo voterà o lo lascerà in ogni caso passare senza colpo ferire (il che fa lo stesso) con tutto il drammatico peso imposto dalla Ue, la quale negli ultimi giorni ha calato sul piatto della bilancia lo spadone di Brenno, un pacchetto di misure, declinate in 39 punti: un impasto dal terrificante impatto sociale (dalle pensioni, alla sanità, alle privatizzazioni, al mercato del lavoro). Questa eredità, questo vero e proprio patto faustiano, si stringerà come un nodo scorsoio al collo di qualunque forza governerà il Paese. Ma a quel punto, con un consenso così ampio ottenuto in parlamento, col beneplacito delle stesse forze di opposizione, con la propria compagine rinfrancata e ricompattata, non è detto che il caimano, avvezzo ad ogni trucco e ad ogni spregiudicatezza politica, non rivendichi a buon titolo il diritto di guidare, se non direttamente almeno per interposto Alfano, un governo che gestisca le elezioni, oppure - siamo davvero certi sia un'ipotesi peregrina? - che addirittura accompagni la legislatura alla sua naturale scadenza. Magari corroborato da un'Udc pronta a guadare più rapidamente di quanto non si pensi il torrentello che la separa dalla stanza dei bottoni.
Nell'un caso e nell'altro, chi rischia di pagare il prezzo politicamente più alto - posto che quello sociale è tutto a carico dei cittadini, ostaggio di una spoliazione senza precedenti - è il Pd. Chi sabato scorso in piazza San Giovanni respirava aria di battaglia potrebbe nei prossimi giorni masticare molto amaro.
La sola seria chanche per chi voglia sottrarre il Paese alla tenaglia rappresentata dalle due ganasce del populismo di destra e del dogma liberista, sarebbe smarcarsi nettamente. Per costruire una proposta, un progetto di fuoriuscita dalla crisi affrancati dal decalogo monetarista. Un'alleanza fra centrosinistra e sinistra con cui andare immediatamente alle elezioni e provare a dimostrare che il futuro di noi tutti non è già scritto nel catechismo della Bce.

sabato 5 novembre 2011

VIII Congresso nazionale del PRC.



Circolo di Salandra. Congresso 29/10/2011

Esito delle votazioni

Mozioni VIII Congresso nazionale PRC.

Mozione I    : voti 9
Mozione II  : voti 1
Mozione III: voti 0