venerdì 12 marzo 2010

Così Berlusconi ordinò: "Chiudete Annozero"

L’indagine di Trani coinvolge il premier, Innocenzi (Agcom) e il direttore del Tg1. Santoro nel mirino: “Chiudere tutto”

di Antonio Massari

Silvio Berlusconi
voleva "chiudere" Annozero. Un membro dell'Agcom – dopo aver parlato con il premier - sollecitava esposti contro Michele Santoro. Il direttore del Tg1 Augusto Minzolini – al telefono con il capo del governo – annunciava d'aver preparato speciali da mandare in onda sui giudici politicizzati. E le loro telefonate sono finite in un fascicolo esplosivo. Berlusconi, Minzolini e il commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi: sono stati intercettati per settimane dalla Guardia di Finanza di Bari, mentre discutevano della tv pubblica delle sue trasmissioni. E nel procedimento aperto dalla procura di Trani - per quanto risulta a Il Fatto Quotidiano – risulterebbero ora indagati. Lo scenario da “mani sulla Rai” vien fuori da un'inchiesta partita da lontano. L'indagine .- condotta dal pm Michele Ruggiero – in origine riguardava alcune carte di credito della American Express. È stata una “banale” inchiesta sui tassi d'usura, partita oltre un anno fa, ad alzare il velo sui reali rapporti tra Berlusconi, il direttore generale della Rai Mauro Masi (che non risulta tra gli indagati), il direttore del Tg1 e l'Agcom. Quelle carte di credito, in gergo, le chiamavano “revolving card”. Sono marchiate American Express e, secondo l'ipotesi accusatoria, praticano tassi usurai sui debiti in mora. In altre parole: il cliente, che non restituisce il debito nei tempi previsti, rischia di pagare cifre altissime d'interessi. E così Ruggiero indaga. Per mesi e mesi. Sin dagli inizi del 2009.

Fino a quando una traccia lo porta su un'altra pista. Il pm e la polizia giudiziaria scoprono che qualcuno – probabilmente millantando – è certo di poter circoscrivere la portata dello scandalo: qualcuno avrebbe le conoscenze giuste, all'interno dell'Agcom, che è Garante anche per i consumatori. Qualcuno vanta – sempre millantando – di avere le chiavi giuste persino al Tg1: è convinto di poter bloccare i servizi giornalistici sull'argomento, intervendo sul suo direttore, Augusto Minzolini. Le telefonate s'intrecciano. I sospetti crescono. L'inchiesta fa un salto. E la sorte è bizzarra: Minzolini, il servizio sulle carte di credito revolving, lo manderà in onda. Ma nel frattempo, la Guardia di Finanza scopre la rete di rapporti che gravano sull'Agcom e sulla Rai. Telefonata dopo telefonata si percepisce il peso di Berlusconi sulle loro condotte. Gli investigatori si accorgono che il presidente del Consiglio è ciclicamente in contatto con il direttore del Tg1. La procura ascolta in diretta le pressioni del premier sull'Agcom. Registra la fibrillazione per ogni puntata di Annozero. Sente in diretta le lamentele del premier: il cavaliere non ne può più. Vuole che Annozero e altri “pollai” - come pubblicamente li chiama lui - siano chiusi. E l'Agcom deve fare qualcosa. Berlusconi al telefono è esplicito: quando compulsa Innocenzi - che dovrebbe garantire lo Stato, in tema di comunicazione - parla di chiusura. E Innocenzi non soltanto lo asseconda. Ma cerca di trovare un modo: per sanzionare Santoro e la sua redazione servono degli esposti. E quindi: si cerca qualcuno che li firmi.

I ruoli si capovolgono: è l'Agcom che cerca qualcuno disposto a firmare l'esposto contro Santoro. Innocenzi è persino disposto, in un caso, a fornire, all'avvocato di un politico, la consulenza dei propri funzionari. La catena si rovescia: un membro dell'Agcom (che svolge un ruolo pubblico), intende offrire le competenze dei propri funzionari (pagati con soldi pubblici), a vantaggio di un politico, per poter poi sanzionare Santoro (giornalista del servizio pubblico). In qualche caso si cerca persino di compulsare, perchè presenti un esposto, un generale dei Carabinieri. L’immagine di Berlusconi che emerge dall’indagine è quella di un capo di governo allergico a ogni forma di critica e libertà d’opinione. Si lamenta persino della presenza del direttore di Repubblica, Ezio Mauro, a Parla con me: Serena Dandini, peraltro, è recidiva. Ha da poco invitato, come sottolinea il premier, anche il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari. Il premier si scompone: nello studio della Dandini, due giornalisti (del calibro di Mauro e Scalfari), l'hanno attaccato. Chiede se - e come - l'Agcom possa intervenire. Innocenzi ci ragiona. Sopporta telefonate quotidiane. Berlusconi incalza Innocenzi, ripetutamente, fino al punto di dirgli che l'intera Agcom, visto che non riesce a fermare Santoro, dovrebbe dimettersi.

Il premier intercettato dimostra di non distinguere tra il ruolo dell'Agcom e il suo ruolo di capo del Governo. Pare che l'Autorità garante debba agire a sua personale garanzia. Gli sfugge anche che, l'Agcom, può intervenire soltanto dopo, la trasmissione di Annozero. Non prima. E infatti – dopo aver raccolto lo sfogo telefonico di Innocenzi sulle lamentele di Berlusconi – un giorno, il dg della Rai Mauro Masi, è costretto ad ammettere: certe pressioni non si ascoltano neanche nello Zimbabwe.

Il parossismo, però, si raggiunge a fine anno. Quando Santoro manda in onda due puntate che faranno audience da record e toccano da vicino il premier. La prima: quella sul processo all'avvocato inglese Mills, all'epoca indagato per corruzione, reato oggi prescritto. La seconda: quella sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra, dove Santoro si soffermerà sulle deposizioni di Spatuzza, in merito ai rapporti tra la mafia e la nascita di Forza Italia. Non si devono fare, in tv, i processi che si svolgono nelle aule dei tribunali, tuona Berlusconi con il solito Innocenzi. Secondo il premier – si sfoga Innocenzi con Masi – si potrebbe dire a Santoro che non può parlare del processo Mills in tv. Non è così che funziona, ribadice Masi. Non funziona così neanche nello Zimbabwe. Comunque Masi non risparmia le diffide.

Per il presidente della Rai non mancano le occasioni di minacciare la sospensione di Santoro e della sua trasmissione. A ridosso della trasmissione su Spatuzza, al telefono di Innocenzi, si presenta anche Marcello Dell'Utri. Tutt'altra musica, invece, quando il premier parla con Minzolini, che Berlusconi chiama direttorissimo. Sulle vicende palermitane, Minzolini fa sapere di essere pronto a intervenire, se altri dovessero giocare brutti scherzi. E il giorno dopo, puntuale, arriva il suo editoriale sul Tg1: Spatuzza dice “balle”. Tutte queste telefonate, confluite ora in un autonomo fascicolo, rispetto a quello di partenza, dovranno essere valutate sotto il profilo giudizario. Se esistono dei reati, dovranno essere vagliati, e se costituiscono delle prove, avranno un peso nel procedimento. È tutto da vedersi e da verificare, ovviamente, ma è un fatto che queste telefonate sono “prove” di regime. Dimostrano la impercettibile differenza tra i ruoli del controllato e del controllore, del pubblico e del privato.

Le parole di Berlusconi che, mentre è capo del Governo e capo di Mediaset, parla da capo anche a chi non dovrebbe, Giancarlo Innocenzi, dimostrano che viene meno la separazione tra i due poteri. Altrettanto si può dire delle parole deferenti di Innocenzi che anziché declinare gli inviti esibisce telefonicamente la propria obbedienza e rassicura Berlusconi: presto sarà aperto lo scontro con Santoro. Dietro le affermazioni sembra delinearsi un piano. È soltanto un'impressione. Ma il premier sostiene che queste trasmissioni debbano essere chiuse, sì, su stimolo dell'Agcom, ma su azione della Rai. Tre mesi dopo questi dialoghi, assistiamo alla sospensione di Annozero, Ballarò, Porta a porta e Ultima parola proprio per mano della par condicio Rai, nell'intero ultimo mese di campagna elettorale. E quindi: la notizia di cronaca giudiziaria è che Berlusconi, Innocenzi e Minzolini, sono coinvolti in un'indagine.

La notizia più interessante, però, è un'altra: il “regime” è stato trascritto. In migliaia di pagine. Trasuda dai brogliacci delle intercettazioni telefoniche. Parla le parole del “presidente”. Il territorio di conquista è la Rai: il conflitto d'interesse del premier Silvio Berlusconi – grazie a questi atti d'indagine - è oggi un fatto “provato”. Non è più discutibile.

da Il Fatto Quotidiano - 12 marzo 2010

martedì 9 marzo 2010

La Federazione della Sinistra di Matera non utilizzera il DL Vergogna Berlusconi

La federazione della sinistra, nonostante l'esclusione dalla competizione elettorale della circoscrizione di Matera, non si avvarrà del decreto vergogna salva liste varato dal governo Berlusconi. .Questo decreto rappresenta un attentato alla costituzione, in quanto viola palesemente l'art.72 comma 4 della nostra carta costituzionale; noi con grande sofferenza abbiamo scelto la seconda alternativa, optando per la strada più difficile tra salvare la nostra lista e testimoniare invece la salvaguardia della legalita, Chiediamo scusa ai tanti compagni e compagne, ma il rispetto delle regole è il principio fondante di una società di cui noi vogliamo essere protagonisti, ed utilizzare a nostro vantaggio il decreto Truffa Napolitano-Berlusconi avrebbe significato deiventare complici di un atto illeggittimo.
Soleva dire Pertini che “La morale è una scienza morta se la politica non cospira con lei e non la fa regnare nella nazione, la democrazia si difende, si sostiene e si rafforza con una grande tensione morale" proprio partendo da queste considerazioni, noi chiederemo in questi giorni la massima mobilitazione a tutti gli uomini e le donne che hanno a cuore le sorti della nostra democrazi, e la federazione della Sinistra a Matera sarà impegnata in iniziative e manifestazioni di protesta a difesa della legalita senza se senza ma

Segreatario Provinciale PRc Matera
Ottavio Frammartino

Il Segretario PDCI Matera
Francesco Mandile

sabato 6 marzo 2010

FURTO CON SCASSO NELLA NOTTE

di MARCO TRAVAGLIO

Come i ladri professionisti, che agiscono nottetempo con passo felpato, il Pdl (Partito dei Ladri) ha svaligiato ieri notte un altro pezzo di legalità e di democrazia. Il decreto che fornisce la cosiddetta "interpretazione autentica" delle leggi elettorali travolgendole ex post, a immagine e somiglianza delle illegalità commesse presentando la lista del presidente Formigoni in Lombardia e quella del Pdl nel Lazio, è un obbrobrio giuridico e l'ultimo sputo sulla Costituzione.
La consueta firma di Ponzio Napolitano è anche peggio di quelle apposte su altre leggi vergogna come il Lodo Alfano, le norme razziali anti-immigrati e lo scudo fiscale.
Stavolta cambiano in corsa le regole della partita elettorale per riammettere in campo che ne era stato espulso per evidenti illegalità. Cioè per consentire di vincere a chi, secondo la legge, non dovrebbe proprio giocare, il tutto in barba ai diritti di coloro che hanno rispettato le regole, raccolto firme autentiche, presentato le liste in tempo utile. Senza contare la legge (nr. 400/1988) che vieta espressamente i decreti in materia elettorale.
Personalmente era da un pezzo che non mi sentivo più rappresentato da Giorgio Napolitano e nutrivo sempre maggiore nostalgia per i veri garanti della Costituzione come Enaudi, Pertini, Scalfaro e persino Ciampi.
Da ieri – a giudicare dai centralini intasati del Quirinale – ho l'impressione di essere in ottima compagnia.
Per 50 anni Napolitano è stato accompagnato dal nomignolo di "figlio del Re" per la sua straordinaria somiglianza con Umberto II di Savoia. Ma era il re sbagliato: Napolitano è il degno erede di Vittorio Emanuele III, il sovrano che nel 1922 non mosse un dito contro la marcia su Roma e nel 1943 fuggi a Brindisi. Anche lui, nella notte.


da Il Fatto Quotidiano - 6 marzo 2010

venerdì 5 marzo 2010

G8, lavori blindati: “Noi, esclusi a priori”


Il gruppo "interna": procedure anoname, perchè le proposte dovevano essere inviate al capo della Protezione Civile?

di ERMINIA DELLA FRATTINA

Il racconto comincia con una lettera raccomandata e tante e-mail, spedite da un gruppo friulano degli arredamenti per interni all’“attenzione del dottor Bertolaso, commissario delegato per il grande evento vertice G8”. L’obiettivo del gruppo Interna di Tavagnacco (Udine), leader mondiale nelle forniture di arredi per alberghi di lusso, è partecipare alla gara d’appalto per l’allestimento degli interni dell’ex Ospedale militare della Maddalena, da riconvertire in albergo a cinque stelle in occasione del G8 2009.
"Volevamo partecipare alla fornitura degli arredi" spiega infatti Diego Travan, avvocato e imprenditore friulano a capo di Interna group, 50 dipendenti, 20 milioni di fatturato e un indotto di oltre mille addetti. "Siamo una delle prime dieci aziende al mondo nel nostro settore per ordini e produzione – prosegue Travan, che dal quartier generale di Tavagnacco sottolinea la scelta di produrre esclusivamente made in Italy – abbiamo anche la certificazione etica che è molto difficile da ottenere, e nelle gare internazionali è di solito una qualità che ci fa ottenere dei punti in più". Già, le certificazioni: Qualità , ambientale ed etica. Il gruppo infatti è da sempre sensibile alle tematiche della responsabilità sociale d’impresa.

I clienti? Bmw, Daimler-Chrysler, Volkswagen, Siemens, Intercontinental Hotels Group, Hyatt International, Ritz Carlton, Four Seasons, Radisson Sas, Sheraton, Marriott, Hilton, Le Meridien... Insomma non mancava niente per provare a partecipare alla gara di assegnazione dell’appalto della Maddalena. Così Travan ha cominciato a inviare e-mail e raccomandate alla direzione della Protezione civile. "Mi hanno detto di specificare: all’attenzione personale di Guido Bertolaso. Già questo lo trovo assurdo, partecipiamo a bandi di gara ovunque e le procedure sono completamente diverse. C’è una gara di prequalifica dove si scelgono una decina, al massimo una ventina di aziende con i requisiti migliori, e per quelle si procede ad allestire la gara vera e propria".

Con questo procedimento il gruppo friulano si è appena aggiudicato un contratto per arredare l’Armani hotel di Dubai nella torre più alta del pianeta, 850 metri. "In questo momento è il progetto internazionale più importante al mondo” si legge in una delle tante mail inviate alla Protezione civile. Rimasta però senza risposta come tutte le altre. A un certo punto però si apre uno spiraglio. “Dalla Protezione civile ci dissero di aver ricevuto i nostri cataloghi e di aver inoltrato il nostro nominativo alla stazione appaltante Balducci, fornendoci i numeri telefonici da chiamare. Iniziammo a telefonare insistentemente, ma sempre senza esito”.

Nei cataloghi del gruppo friulano c’è la documentazione di tutti gli appalti ottenuti nel mondo, e dei lavori eseguiti. Si va dall’Hotel Ritz Carlton a Wolfsburg in Germania, per un investimento complessivo di 450 milioni di euro, committente Volkswagen, al Bmw Welt di Monaco di Baviera, committente Bmw, 500 milioni di euro l’investimento. All’Hilton di Atene, sede ufficiale del Comitato olimpico per le Olimpiadi 2004, all’intero allestimento del Ritz Carlton Doha sede ufficiale del WTO del 2001. Un curriculum di tutto rispetto, ma alla Protezione civile torna il silenzio.

“Ci hanno ignorato prima e dopo l’invio del catalogo” dice Travan. A un certo punto qualcuno risponde. “Ci hanno comunicato all’improvviso non che era stata fatta una gara, ma che le opere erano già state appaltate. Alla richiesta di spiegazioni hanno farfugliato qualcosa, e hanno messo giù”. Il resto è storia. "Io appartengo al consiglio provinciale per il Pd – conclude Travan – ma in questa storia la politica non c’entra. Se fosse stato il governo Prodi a comportarsi così, sarei indignato comunque. È una questione di trasparenza, in nessun altro paese le gare avvengono, anzi non avvengono in questo modo. Alla fine delle suddette gare all’estero poi si informano tutti i partecipanti su chi ha vinto e chi ha perso e per quali ragioni. Vorrei ricordare che Bertolaso ha detto a Matrix di aver dato riscontro a tutte le aziende che si sono proposte per i lavori del G8 alla Maddalena, il che non sembra essere assolutamente vero almeno nel nostro caso: ho prove sufficienti per confermare che non ci hanno mai scritto o detto nulla".

da Il Fatto Quotidiano - 5 marzo 2010

mercoledì 3 marzo 2010

Licenziamenti, arriva la legge per aggirare l'articolo 18

Previsto un arbitrato invece del giudice per risolvere le controversie fra lavoratori e datori di lavoro. La Cgil: "E' peggio che nel 2002"

ROBERTO MANIA


ROMA - Aggirare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che tutela dal licenziamento senza giusta causa, e anche altre norme della nostra legislazione sul lavoro. Ma senza dirlo, almeno direttamente. La nuova legge sul processo del lavoro presentata dal governo è ormai a un passo dall'approvazione: questa settimana dovrebbe concluderne l'esame la Commissione Lavoro di Palazzo Madama, subito dopo sarà l'Aula a dare il via libera definitivo dopo quasi due anni di navetta tra Camera e Senato.


In quel testo (il disegno di legge 1167-B) c'è scritto che le controversie tra il datore di lavoro e il suo dipendente potranno essere risolte anche da un arbitro in alternativa al giudice: o l'uno o l'altro. Un cambiamento radicale rispetto alla tradizione giuridica italiana, dove c'è sempre stata una forte diffidenza nei confronti dei lodi arbitrali di stampo anglosassone. Un affievolimento di fatto delle tutele a favore del lavoratore, la parte oggettivamente più debole in questo tipo di controversie. E anche, appunto, un superamento dell'articolo 18, come di altri vincoli legislativi. Perché di fronte a un licenziamento l'arbitro deciderà "secondo equità". "Secondo la sua concezione di equità, non secondo la legge", commenta preoccupato Tiziano Treu, senatore del Pd, ex ministro del lavoro, giuslavorista non certo un massimalista visto che porta il suo nome il primo pacchetto sulla flessibilità. Eppure Treu è tra i firmatati di un appello ("Fermiano la controriforma del diritto del lavoro") contro il disegno di legge del governo giudicato "eversivo rispetto all'intero ordinamento giuslavoristico". Tra i firmatari il giurista di Bologna Umberto Romagnoli, il sociologo torinese Luciano Gallino, l'ex presidente dell'Inps Massimo Paci. Un appello che però resterà nel vuoto.


La norma è davvero complessa. In sostanza - modificando l'articolo 412 del codice di procedura civile - si prevedono due possibilità tra loro alternative per la risoluzione delle controversie: o la via giudiziale oppure quella arbitrale. Già nel contratto di assunzione, anche in deroga ai contratti collettivi, potrebbe essere stabilito (con la cosiddetta clausola compromissoria) che in caso di contrasto le parti si affideranno a un arbitro. Strada assai meno garantista per il lavoratore che in un momento di debolezza negoziale (quello dell'assunzione, appunto) finirebbe per essere costretto ad accettare. E il giudizio dell'arbitro sarà impugnabile esclusivamente per vizi procedurali.

"Questa volta - sostiene Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil - è peggio rispetto al 2002: allora l'attacco all'articolo 18 fu diretto ed era semplice spiegarlo ai lavoratori. Ora l'aggiramento va ben oltre l'articolo 18 impedendo addirittura di arrivare al giudice del lavoro". Di "approccio chirurgico", parla l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (Pd). "Si fanno le "operazioni" - aggiunge - senza andare allo scontro frontale". Preoccupata anche la Cisl, dice il segretario Giorgio Santini: "Non abbiamo pregiudizi nei confronti dell'arbitrato, ma ora spetta alla contrattazione fissare i paletti di garanzia per l'esercizio dell'arbitrato". La legge infatti rinvia a un accordo tra le parti che però se non arriverà entro un anno lascerà spazio a un decreto del ministro del Lavoro. Ma per Giuliano Cazzola (Pdl), relatore del disegno di legge alla Camera: "bisogna smetterla di considerare i lavoratori come dei "minus habens", incapaci di scegliere responsabilmente e consapevolmente un percorso giudiziale o uno stragiudiziale (l'arbitrato, ndr), per dirimere le loro controversie di lavoro".

da "La Repubblica" - (3 marzo 2010)