Domani i deputati dell'Europarlamento pronti a discutere della situazione italiana
di Alessandro Cisilin
Conflitto di interessi, monopolio mediatico, ingerenze nella Rai, e ora le crescenti intimidazioni contro quella frazione di informazione estranea al controllo del premier. Il Parlamento Europeo ha deciso di investirsi del caso Berlusconi con un apposito dibattito nella seduta plenaria di domani, prevedendo inoltre un'intera sessione di voto su una risoluzione lunedì 21 ottobre.
E' nei compiti dell'assemblea di Bruxelles monitorare la situazione dei diritti umani, inclusa la libertà di informazione nei singoli paesi. E' però un'anomalia che una questione interna a uno Stato membro venga elevata a capitolo specifico dell'ordine del giorno. L'anomalia viene dunque riconosciuta nel "problema italiano", e non è la prima volta. Già cinque anni fa l'Europarlamento se n'era occupato, votando praticamente all'unanimità un testo che condannava il nostro paese con le medesime motivazioni odierne. I deputati forzisti di allora accusarono, come oggi, i connazionali del centrosinistra di "cercare una rivalsa europea dopo la sconfitta elettorale" e di "portare menzogne all'Italia e al suo premier", ma si trattava ai fatti di accuse del tutto immeritate.
L'iniziativa partì da due europarlamentari italiani della sinistra, il giornalista Lucio Manisca e l'ex magistrato antimafia Giuseppe Di Lello, producendo tra l'altro un documentato e incontestato dossier sulla presa di Berlusconi sui media. Ma a sostenere la loro richiesta di un dibattito in aula furono praticamente solo gli stranieri, di ogni latitudine e colore politico. I membri dell'allora Ds e Margherita, incluso il deputato Napolitano, si rifiutarono invece di firmarla. Dopo mesi di inerzia, solo quando fu chiaro che la risoluzione elaborata incontrava il favore di larga parte dell'assemblea, la votarono e aggiunsero il proprio cappello con emendamenti dell'ultim'ora e conferenze stampa a voto concluso.
La risoluzione fu comunque durissima, denunciando tra l'altro la "combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo" e chiedendo all'Italia una legge sul conflitto di interessi, una riforma dell'audiovisivo di segno opposto alla legge Gasparri, ritenuta "incompatibile col diritto comunitario", nonchè misure per assicurare l'indipendenza della Rai dal governo. Simultaneamente, si chiedeva alla Commissione di monitorare la situazione italiana e di legiferare a tutela del pluralismo mediatico, ipotizzando addirittura il ricorso al famigerato, e mai applicato, articolo 7 dei Trattati, che prevede la sospensione di un paese dalle riunioni interministeriali.
Le raccomandazioni delle due assemblee sono però rimaste carta straccia. L'Italia non ha fatto nulla, nonostante un governo di centrosinistra, e nemmeno l'esecutivo europeo, del resto nominato dai governi. E agli eurodeputati, anche tra i più moderati, non piace che le loro deliberazioni vengano ignorate.
da Il Fatto Quotidiano
di Alessandro Cisilin
Conflitto di interessi, monopolio mediatico, ingerenze nella Rai, e ora le crescenti intimidazioni contro quella frazione di informazione estranea al controllo del premier. Il Parlamento Europeo ha deciso di investirsi del caso Berlusconi con un apposito dibattito nella seduta plenaria di domani, prevedendo inoltre un'intera sessione di voto su una risoluzione lunedì 21 ottobre.
E' nei compiti dell'assemblea di Bruxelles monitorare la situazione dei diritti umani, inclusa la libertà di informazione nei singoli paesi. E' però un'anomalia che una questione interna a uno Stato membro venga elevata a capitolo specifico dell'ordine del giorno. L'anomalia viene dunque riconosciuta nel "problema italiano", e non è la prima volta. Già cinque anni fa l'Europarlamento se n'era occupato, votando praticamente all'unanimità un testo che condannava il nostro paese con le medesime motivazioni odierne. I deputati forzisti di allora accusarono, come oggi, i connazionali del centrosinistra di "cercare una rivalsa europea dopo la sconfitta elettorale" e di "portare menzogne all'Italia e al suo premier", ma si trattava ai fatti di accuse del tutto immeritate.
L'iniziativa partì da due europarlamentari italiani della sinistra, il giornalista Lucio Manisca e l'ex magistrato antimafia Giuseppe Di Lello, producendo tra l'altro un documentato e incontestato dossier sulla presa di Berlusconi sui media. Ma a sostenere la loro richiesta di un dibattito in aula furono praticamente solo gli stranieri, di ogni latitudine e colore politico. I membri dell'allora Ds e Margherita, incluso il deputato Napolitano, si rifiutarono invece di firmarla. Dopo mesi di inerzia, solo quando fu chiaro che la risoluzione elaborata incontrava il favore di larga parte dell'assemblea, la votarono e aggiunsero il proprio cappello con emendamenti dell'ultim'ora e conferenze stampa a voto concluso.
La risoluzione fu comunque durissima, denunciando tra l'altro la "combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo" e chiedendo all'Italia una legge sul conflitto di interessi, una riforma dell'audiovisivo di segno opposto alla legge Gasparri, ritenuta "incompatibile col diritto comunitario", nonchè misure per assicurare l'indipendenza della Rai dal governo. Simultaneamente, si chiedeva alla Commissione di monitorare la situazione italiana e di legiferare a tutela del pluralismo mediatico, ipotizzando addirittura il ricorso al famigerato, e mai applicato, articolo 7 dei Trattati, che prevede la sospensione di un paese dalle riunioni interministeriali.
Le raccomandazioni delle due assemblee sono però rimaste carta straccia. L'Italia non ha fatto nulla, nonostante un governo di centrosinistra, e nemmeno l'esecutivo europeo, del resto nominato dai governi. E agli eurodeputati, anche tra i più moderati, non piace che le loro deliberazioni vengano ignorate.
da Il Fatto Quotidiano
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