di Davide Turrini su Liberazione del 1 luglio 2010
Non potrà essere fisicamente in piazza, complice il caldo romano, ma Mario Monicelli di manifestazioni contro i tagli governativi alla cultura non se n’è mai persa una. E anche per No ai tagli e ai bavagli , slogan fortunato che accomuna censura concettuale e chiusura del rubinetto finanziario, il novantacinquenne regista viareggino partecipa con la sua eloquente esperienza di sagace commediante e di lottatore politico.
Dopo la manifestazione di anno fa contro i tagli al Fns, alla quale lei ha partecipato, non è cambiato sostanzialmente nulla: in che situazione ci troviamo ora?
Pessima. Da un lato l’arte cinematografica, mezzo d’espressione ancora moderno ed efficace, continua ad essere estremamente popolare; dall’altro questa sua vitalità dà molto fastidio al regime. Figuriamoci: se c’è da togliere qualche sostegno pubblico lo si toglie al cinema.
A suo avviso, allora, il cinema italiano è ancora in grado di dare fastidio?
Certo. E lo è quando gli autori hanno il coraggio di raccontare la società, la cultura, la classe operaia e quella dirigente italiana, per quello che sono in questo momento storico. Non quando produce commediole con battaglie da quattro soldi e raccontini sentimentali che finiscono sempre a tarallucci e vino.
Oltre al fastidio che il cinema arreca al regime, dietro ai tagli alla cultura si nasconde la possibile disoccupazione e inattività di tutte quelle persone che lavorano dietro le quinte dei set e di cui non si parla mai: non trova?
Beh, alla fine i soliti registi e attori italiani se la cavano comunque. Chi ci rimette è il cosiddetto indotto, chi ha una carriera o la professionalità di tecnico o artigiano del cinema. Centinaia di persone che lavorano sui set, alle edizioni e alla postproduzione. Il cinema è una fabbrica, come quella dei motori. E la classe operaia del cinema in tempi di tagli è quella che ne risente di più. Basti pensare che dopo ogni film i ” tecnici” finiscono un lavoro e ne devono trovare uno nuovo per campare. Si chiama precarietà e nel cinema esiste da decenni. Solo che quando il sistema corre, non è un problema; quando c’è la crisi, iniziano i drammi.
In un’intervista di non poco tempo fa, ha affermato: “l’arte e lo spettacolo vengono sempre trattati male perché vengono etichettati in blocco come di sinistra e i governi di questo paese non sono mai stati di sinistra”.
Da sempre il governo di questo paese è stato contro il cinema. Ed a rimetterci è sempre la vera arte, quella che rappresenta la verità, spesso sgradevole, difficile da raccontare. Agli inizi della mia carriera ebbi a che fare con il potere democristiano, si lottava contro la censura, ma si aveva la possibilità di dire parecchie cose. Oggi le possibilità si stanno lentamente azzerando.
Allora che messaggio lancia a quelle persone che domani diranno no ai tagli e ai bavagli goveniativi sperando che la loro presenza e protesta conti qualcosa?
Non rassegnatevi e non accettate i bavagli che ci propina il governo. Pur di lavorare, pur di campare, molti di noi dicono sempre tengo famiglia». Ma alla propria famiglia, quella da mantenere, non si possono dire bugie: le si deve. raccontare con coraggio la verità