lunedì 5 luglio 2010

"Non rassegnatevi. Combattete contro il tengofamiglia"

ntervista a Mario Monicelli

di Davide Turrini su Liberazione del 1 luglio 2010

Non potrà essere fisicamente in piazza, complice il caldo romano, ma Mario Monicelli di manifestazioni contro i tagli governativi alla cultura non se n’è mai persa una. E anche per No ai tagli e ai bavagli , slogan fortunato che accomuna censura concettuale e chiusura del rubinetto finanziario, il novantacinquenne regista viareggino partecipa con la sua eloquente esperienza di sagace commediante e di lottatore politico.

Dopo la manifestazione di anno fa contro i tagli al Fns, alla quale lei ha partecipato, non è cambiato sostanzialmente nulla: in che situazione ci troviamo ora?

Pessima. Da un lato l’arte cinematografica, mezzo d’espressione ancora moderno ed efficace, continua ad essere estremamente popolare; dall’altro questa sua vitalità dà molto fastidio al regime. Figuriamoci: se c’è da togliere qualche sostegno pubblico lo si toglie al cinema.

A suo avviso, allora, il cinema italiano è ancora in grado di dare fastidio?

Certo. E lo è quando gli autori hanno il coraggio di raccontare la società, la cultura, la classe operaia e quella dirigente italiana, per quello che sono in questo momento storico. Non quando produce commediole con battaglie da quattro soldi e raccontini sentimentali che finiscono sempre a tarallucci e vino.

Oltre al fastidio che il cinema arreca al regime, dietro ai tagli alla cultura si nasconde la possibile disoccupazione e inattività di tutte quelle persone che lavorano dietro le quinte dei set e di cui non si parla mai: non trova?
Beh, alla fine i soliti registi e attori italiani se la cavano comunque. Chi ci rimette è il cosiddetto indotto, chi ha una carriera o la professionalità di tecnico o artigiano del cinema. Centinaia di persone che lavorano sui set, alle edizioni e alla postproduzione. Il cinema è una fabbrica, come quella dei motori. E la classe operaia del cinema in tempi di tagli è quella che ne risente di più. Basti pensare che dopo ogni film i ” tecnici” finiscono un lavoro e ne devono trovare uno nuovo per campare. Si chiama precarietà e nel cinema esiste da decenni. Solo che quando il sistema corre, non è un problema; quando c’è la crisi, iniziano i drammi.

In un’intervista di non poco tempo fa, ha affermato: “l’arte e lo spettacolo vengono sempre trattati male perché vengono etichettati in blocco come di sinistra e i governi di questo paese non sono mai stati di sinistra”.
Da sempre il governo di questo paese è stato contro il cinema. Ed a rimetterci è sempre la vera arte, quella che rappresenta la verità, spesso sgradevole, difficile da raccontare. Agli inizi della mia carriera ebbi a che fare con il potere democristiano, si lottava contro la censura, ma si aveva la possibilità di dire parecchie cose. Oggi le possibilità si stanno lentamente azzerando.

Allora che messaggio lancia a quelle persone che domani diranno no ai tagli e ai bavagli goveniativi sperando che la loro presenza e protesta conti qualcosa?
Non rassegnatevi e non accettate i bavagli che ci propina il governo. Pur di lavorare, pur di campare, molti di noi dicono sempre tengo famiglia». Ma alla propria famiglia, quella da mantenere, non si possono dire bugie: le si deve. raccontare con coraggio la verità

Questo giornale, così fragile, così necessario


di Dino Greco

Spero ardentemente che tutti i compagni e le compagne che mantengono una frequentazione del nostro/loro giornale e ne comprendono la funzione insostituibile, abbiano colto appieno la fase cruciale nella quale siamo, che può segnare il rilancio oppure la fine, in tempi molto rapidi, delle pubblicazioni. Non sto scherzando e vi assicuro che non vi è alcuna enfasi, né alcun gusto per la drammatizzazione in questo allarme. Delle condizioni economiche e dello stato delle vendite, nonché di quello degli abbonamenti abbiamo dato ampia informazione attraverso le relazioni svolte nella direzione del Prc del 16 giugno, pubblicate nell’edizione del 23 dello stesso mese. Se non ne aveste presa visione vi prego di farlo con la dovuta attenzione e, soprattutto, di metterne a parte quanti non abbiano adeguata percezione dello stato delle cose. La questione è molto semplice: il partito non è più in grado di sostenere economicamente il giornale. Neppure in misura marginale. E quanto la penuria di risorse abbia inciso nella fattura, nella foliazione, nella distribuzione del giornale è sotto gli occhi di tutti. Ciononostante siamo stati in edicola ogni giorno, con una forte caratterizzazione politica, sociale e culturale quale non si rintraccia in altre pubblicazioni.
Il futuro prossimo di Liberazione ora dipende unicamente dal finanziamento pubblico (anch’esso appeso ad un filo di ragnatela), dalle vendite e dai modesti introiti pubblicitari. Questo vuol dire che lo sforzo eccezionale messo in campo con successo per abbattere sino a poche centinaia di migliaia di euro il poderoso debito di esercizio accumulato nel tempo potrebbe non essere sufficiente. Perché anche una sola goccia in più fa tracimare il vaso colmo. Dunque, care compagne e cari compagni, tocca ora a voi compiere (o ritrarre) il passo. In uno spazio talmente breve da non consentire neppure un attimo di pausa e da gestire con estrema determinazione. La determinazione e la convinzione che sino ad oggi sono mancate. Come si diceva un tempo, ciò che va fatto, va fatto “qui ed ora”. Perchè non saranno dati tempi supplementari. Ho già indicato, meticolosamente e sui vari fronti, le iniziative che possono essere prodotte in queste settimane per concorrere al raggiungimento del pareggio di bilancio, da conseguire tassativamente entro quest’anno. Gli abbonamenti, innanzitutto, nelle varie forme possibili (postali, con coupons, on line): dobbiamo farne 500 di nuovi entro l’estate. Ho già detto, sfidando quella che credevo un’ovvietà, che dai dirigenti è atteso l’esempio. Poi ci sono le feste di <+Cors>Liberazione<+Tondo>, certamente più di duecento, alcune già in corso, molte in preparazione o già calendarizzate. E’ possibile prevedere che in ciascuna di esse si facciano pervenire, per ogni giorno di durata della festa, un numero “x” di copie del giornale e che se ne organizzi la vendita quotidiana? E’ possibile che in ciascuna di esse si preveda una cena a sottoscrizione dedicata al giornale e che le somme realizzate siano convertite in abbonamenti da destinare a luoghi di lavoro, circoli, realtà dove il giornale non arriva? Ancora: è possibile riprendere la diffusione domenicale, riguadagnando un’attitudine militante alla controinformazione che non serve soltanto al giornale, ma che è anche funzionale all’attività di reinsediamento capillare del partito, nel sociale come nei territori? Nel mese di ottobre, indicativamente nella terza settimana, produrremo un supplemento al giornale di 48 pagine. Un evento, tanto per l’importanza dei temi trattati che per la qualità dei contributi che vi troveranno ospitalità, con un cospicuo sovrapprezzo che ha il significato di una vera e propria sottoscrizione: un sacrificio economico di non lieve entità da dedicare ad una buona causa. Chiediamo a tutte le federazioni, ai circoli, di prenotarne preventivamente un consistente numero di copie oltre a quelle che saranno vendute direttamente in edicola. Sebbene la formula sia abusata e contenga forse un eccesso retorico di volontarismo, mi sento questa volta di dire: trasformiamo lo svantaggio, la difficoltà, in un’opportunità, in un’occasione: quella di ripensare ad un aspetto essenziale della vita del partito, della sua capacità di comunicare, di esercitare una funzione critica, verso la realtà sociale e politica non meno che verso se stesso. Liberazione può rappresentare, ancor più di quanto non sia stato sin qui, l’enzima di un ritrovato sforzo corale, capace di produrre lavoro politico, conflitto sociale, pratiche solidali, interlocuzioni che oggi ci sono precluse o che ristagnano a causa di perduranti, reciproche diffidenze. E capace di stimolare unità, a sinistra, di cui vi è un prepotente bisogno per dare efficacia ad istanze di cambiamento che nessun altro, dentro il concerto istituzionale, è oggi in grado di interpretare. Se per indolenza, o per rassegnazione, rinunciassimo a questa sfida, senza neppure tentarla, compiremmo un atto di grave autolesionismo. E la chiusura del giornale, a quel punto inevitabile, ne rappresenterebbe la simbolica rappesentazione. Non mi impegnerei in questo appello se non fossi convinto che il gioco vale la candela e che possiamo farcela. A voi l’ultima e decisiva parola.

da Liberazione (04/07/2010)